Il caso: accusata di troppe assenze chiede i danni, ma per il giudice è diritto di critica
In merito alla lettera che il Cda aveva inviato al legale della direttrice, la giudice nell'esaminare il contenuto letterale rileva che «la forma espositiva, alla luce del complessivo contesto dialettico in cui la terminologia viene utilizzata, è strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione del suo comportamento e ha un significato di mero giudizio critico negativo»
TRENTO. Accusata di aver usufruito «di ogni possibile istituto di legge e contrattuale» per assentarsi dal servizio, la direttrice di una casa di riposo trentina ha replicato alla lettera inviatale dal Consiglio di amministrazione presentando querela: ha infatti denunciato la presidente della Apsp per diffamazione e chiesto 3.500 euro di risarcimento e altri 3mila euro per le spese di costituzione di parte civile.
Nella comunicazione pervenuta al suo legale veniva evidenziato che la direttrice, nel 2020, anno di emergenza Covid, aveva delegato «gli oneri e le difficoltà» connesse al problema della pandemia «agli altri operatori, responsabilmente presenti in servizio».
La lettera si concludeva con questa considerazione: «Non esiste e non è mai esistito all'interno di tutte le altre Apsp/Rsa del territorio provinciale un analogo comportamento da parte dei relativi direttori, quanto mai prodighi e dediti alla direzione delle rispettive strutture visti i tempi di difficoltà economica e, soprattutto, di tipo sanitario ed assistenziale».
La direttrice, sentendosi offesa per queste parole, ha deciso di sottoporre la questione al vaglio della giustizia, ma non ha ottenuto ciò che ha chiesto. Per la giudice Tiziana Toma il fatto non costituisce reato: l'imputata non ha fatto altro che esercitare il diritto di critica, privo di rilevanza penale.
Non va contestato neppure il reato di ingiuria, come chiesto in subordine della parte offesa, in quanto «oltre a non essere oltrepassato il limite della continenza, la forma espositiva della critica rivolta non trasmoda in una gratuita e ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, finalizzata a minare l'onore ed il decoro della persona offesa».
Il contesto in cui è maturato il procedimento è alquanto complesso: da una parte i contrasti fra la direttrice (a cui nel frattempo è stato revocato l'incarico) e il consiglio di amministrazione, ad esempio riguardo ad obiettivi assegnati e non raggiunti, con una "battaglia" a suon di sanzioni disciplinari e periodi di sospensione dal servizio; dall'altra l'emergenza Covid che costrinse le case di riposo alla riorganizzazione di reparti e anche delle turnistiche. Quando iniziò a circolare il virus i responsabili delle case di cura vennero chiamati a prendere decisioni difficili, anche scomode (come la chiusura delle visite dei familiari), per tutelare la salute degli ospiti.
C'era da predisporre la compartimentazione di spazi ed ambienti, riorganizzare e gestire il personale in relazione alle assenze, reperire i dispositivi di protezione individuale, dato che chi sta ai vertici è anche responsabile della salute dei lavoratori. Scelte che dovevano essere prese in fretta, non procrastinate.
Alcuni testi, sentiti in aula, hanno spiegato che a causa dell'assenza della direttrice era impossibile adottare decisioni ed accedere ai portali senza le sue credenziali.
In merito alla lettera che il Cda aveva inviato al legale della direttrice, la giudice nell'esaminare il contenuto letterale rileva che «la forma espositiva, alla luce del complessivo contesto dialettico in cui la terminologia viene utilizzata, è strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione del suo comportamento e ha un significato di mero giudizio critico negativo».
I toni erano «certamente aspri e sferzanti» - evidenzia la giudice - «ma conferenti all'oggetto della controversia». La diffamazione dunque non c'è.