Il bullismo colpisce 13 mila ragazzi trentini: fenomeno dilagante nei social e in rete
Colpisce più le ragazze e si diffonde nelle scuole. L’esperta Serena Valorzi: «Oggi tutto viene registrato filmato, e resta per sempre». La dirigente: «spesso non abbiamo mezzi»
IL CASO Rovereto, la denuncia di una mamma
AZIONI Protocollo Polo Veronesi-tribunale per i minorenni
TRENTO Tutte le scuole unite contro il bullismo
TESTIMONI Claudia Pandolfi in lacrime per le vittime di bullismo
TRENTO. Meno cyberbulli rispetto al resto d’Italia, ma più bulli nella vita reale. In Trentino si stima siano quasi 13mila le vittime di atti di bullismo, pari al 18% di scolari e alunni del primo e secondo grado di istruzione. Se dal punto di vista dei soprusi attuati tramite social e messaggistica il dato (13% le vittime tra ragazze e ragazzi di età compresa tra 11 e 13 anni) è il secondo migliore in Italia dopo il 10,4% della Valle d’Aosta (15% il dato nazionale), per quel che riguarda gli atti di bullismo reali, fisici, concreti in provincia si sale al 18%.
A dirlo sono i dati di Save the Children che qualche mese fa ha analizzato questionari e statistiche 2023. Dati attuali proprio quest'oggi, 7 febbraio, giornata nazionale contro bullismo e cyberbullismo, che anticipa solo di qualche giorno la giornata per la sicurezza in rete, il Safer internet day, fissata per il prossimo 11 febbraio.
Dati attuali e non incoraggianti nel loro complesso, anche perché spesso, tra il 13% di vittime di cyberbullismo e il 18% di vittime di bullismo, ci sono gli stessi ragazzi, colpiti a tutti i livelli. Quasi sempre, infatti, chi è vittima di soprusi nel mondo virtuale o deve comunque patire angherie tramite social, app di messaggistica e diffusione di foto e video, lo è anche nel “mondo reale”: con una sovrapposizione che l’Istat stima pari all’88%. Insomma, bullizzati e cyberbullizzati spesso coincidono, dando vita a situazioni pesanti da sopportare e gestire.
A cadere vittima di atti di cyberbullismo sono più frequentemente ragazze e ragazzine, sottolinea l’Atlante, «con i bulli e i propri gruppi di supporter e di gregari (i così detti bystanders) che soprattutto in ambito virtuale lasciano maggiormente emergere pulsioni a sfondo sessuale, figlie di una cultura patriarcale, sessista e maschilista».
Ma, sottolinea l’analisi di Save the Children «non va sottostimato il contributo delle bulle che colpiscono le compagne per isolarle e deriderle. Soprattutto accade negli anni della preadolescenza quando i tempi di crescita non sono uguali per tutti. C’è chi ha un corpo e un modo di essere ancora bambino e chi già si proietta nel mondo adulto. In questa disarmonia di gruppo, si annidano spesso le inimicizie e gli attacchi.
A 11 anni subisce atti di cyberbullismo il 21,1% delle ragazzine contro il 17,2% dei maschi. A 13 anni la distanza aumenta; a essere colpite è il 18,4% di ragazze contro il 12,9% di maschi. A 15 anni si assiste, invece, a un calo generalizzato del fenomeno e a una riduzione del divario tra i due sessi con una percentuale dell’11,4% per le ragazze e di 9,2% per i ragazzi.
Una maggiore capacità di difendersi dagli attacchi, anche di denunciarli, e forse una più concreta consapevolezza dei propri atti, frutto di intense campagne nelle scuole, contribuiscono a questo calo». Numeri che fotografano una realtà non facile da gestire, soprattutto da parte di genitori ed educatori. Il dilemma è quello che accompagna questi ultimi ormai da anni. A che età iniziare a far usare uno smartphone e la navigazione in rete?
E come gestire l’utilizzo di quella che è al contempo una infinita risorsa e una potenziale minaccia? Save the Children dice che in regione a utilizzare regolarmente internet soprattutto attraverso uno smartphone è il 62,7% di bambini e adolescenti tra i 6 e i 17 anni. Una percentuale che considerando il solo Trentino sale al 67,3%. Dati comunque inferiori alla media nazionale che è del 73%.
L’analisi. Il bullismo di oggi è più grave, perché resta e lascia tracce indelebili. Non dà tregua e lascia segni digitalmente imperituri.
A spiegarlo è la psicologa e psicoterapeuta Serena Valorzi: «Ognuno di noi ha i propri ricordi legati ad episodi di bullismo. Perché da ragazza o da ragazza lo ha subito, perché ne è stato autore, perché vi ha assistito. Ma questo è parte del problema, perché i nostri ricordi dell'infanzia o dell'adolescenza sono ben diversi dal bullismo e cyberbullismo attuale.
Si risolveva tutto lì, a scuola, in forme più o meno gravi ma era un fenomeno arginabile. Oggi il bullismo viene anche registrato, filmato, il bullismo e cyberbullismo è fatto di messaggi, screenshot. I segni di ciò che avviene oggi potranno rimanere, anche quando la vittima sarà a sua volta genitore o anche nonno, con effetti devastanti».
Non c'è solo il dolore proprio, ma la consapevolezza che quel dolore, quella vergogna, possono essere esibite dai bulli: «Non c'è solo l'esclusione sociale ma l'esposizione alla rete. Si tratta di forma vessatoria che porta l'umiliazione a livelli inimmaginabili per noi adulti che non abbiamo vissuto questo tipo di violenza. Bullismo e cyberbullismo finiscono per intrecciarsi in maniera devastante, con una potenzialità offensiva terribile".
Ma non ci sono solo vittime e carnefici: "Spesso non basta punire il bullo, si rischia di perpetrare questa striscia di aggressività a cui invece va messa fine. Sempre tutelando la vittima, ovviamente, va compresa la natura dell'aggressività di chi bersaglia qualcun altro, riuscendo a fermare non solo sé stesso ma anche coetanei che potrebbero imitarlo. Si deve comprendere che tipo di rabbia e di disagio animi chi colpisce gli altri per incanalare quella rabbia e quel disagio in forme che non ledano gli altri e possano essere risolutive».
E poi, il ruolo delle comunità: «Fare finta di nulla, sminuire, sorridere di piccole angherie, sono tutte forme di involontaria complicità di questi fenomeni, che vanno senza dubbio evitate. E credo che momenti di riflessione come quelli proposti da queste giornate di sensibilizzazione siano importanti anche per questo».
La scuola è spesso il luogo dove il bullismo si concretizza. Ma anche quello in cui può essere intercettato e fermato. Anche se, come spiega la dirigente dell'istituto Trento 5 Paola Pasqualin «spesso non disponiamo di misure adeguate per prevenire e contrastare questo fenomeno».Dirigente, spesso c'è chi ancora sorride e fa spallucce, nominando il bullismo.«Il mondo cambia, e se qualche adulto di oggi ricorda i piccoli screzi di quando era ragazzo, va detto che oggi non è più così. Bullismo e cyberbullismo sono argomenti serissimi perché la capacità di aggredire è diventata molto più intensa».Il tempo è un fattore determinante.
«Nei nostri istituti, e purtroppo posso dire che è così in quasi tutte le realtà, vediamo bambine e bambini che entrano a 6 anni in situazioni delicate e li vediamo uscire a 13 senza che la situazione sia migliorata, anzi a volte è peggiorata. Un mese per un bambino di 6, 7 o 10 anni, non è come un mese di un adulto.
E la stessa cosa vale per un anno. Parliamo di periodi in cui ragazze e ragazzi crescono, si formano, diventano quel che saranno. Abbiamo bimbi che rovesciano banchi, aggrediscono compagni, picchiano maestre. Vogliamo chiamarli bulli? Abbiamo anche ragazzini più grandi totalmente disregolati che non riescono a controllare l'aggressività e nessun'altra emozione.
Vogliamo chiamarli bulli? Si deve intercettare il disagio, oltre a sanzionare.
«E prevenirlo. Credo serva innanzitutto coerenza da parte degli adulti, modelli positivi che regolarmente disattendiamo. Pensi alle aggressioni di genitori verso insegnanti, per non parlare del linguaggio violento e minaccioso che ogni giorno adulti "bulli" di riferimento utilizzano anche nei confronti della scuola. I modelli che offriamo non aiutano. Fai un richiamo e hai una denuncia, dai un 5 e ti scrive l'avvocato. Se anche noi togliamo il 5 o la sanzione, il problema dell'alunno rimane, si rinforza, si evolve e rischia di peggiorare se non agiamo insieme e non dimostriamo che il rispetto e le regole servono per il bene comune, in primis il nostro».
La scuola assiste inerme?
«Certo che no. Ma ci troviamo spesso di fronte a situazioni alle quali insegnanti e docenti non sono professionalmente formati. Un insegnante è un insegnante. Servirebbero educatori, psicologi, assistenti sociali. La scuola fa quello che può ma spesso non basta».
E le famiglie?
«Quando sono consapevoli del problema, sia che riguardi vittime che aggressori, è tutto più semplice e si possono attivare percorsi, anche complessi ma spesso determinanti per il bene dei ragazzi, anche coinvolgendo specialisti, educatori, assistenti sociali, è più semplice. Quando non c'è comprensione e collaborazione tutto è più difficile».
Tornando a scuola, la figura dello psicologo di istituto è ormai realtà diffusa.
«Ed è un bene, ma non basta. Ci sono casi per i quali servirebbe tutti i giorni uno psicologo in classe. Servirebbe un assistente sociale a scuola tutti i giorni, servirebbero figure professionali adeguate che non ci sono. Ed è un peccato, perché con i numeri del Trentino, i casi più gravi potrebbero essere seguiti singolarmente in modo da eliminare situazioni di disagio in tempo».