Dirty Dancing: a Trento il musical che emoziona da 30 anni
Era il 1987 quando uscì Dirty Dancing il film diretto da Emile Ardolino e interpretato dal compianto Patrick Swayze e da Jennifer Grey. Una pellicola diventata un cult capace di vincere l’Oscar con il brano portante della colonna sonora, (I’ve Had) The Time of My Life a cui si lega ora il musical «Dirty Dancing» un concentrato di romanticismo, sensualità e musiche travolgenti che dopo il successo registrato nella stagione 2014/2015, è tornato per celebrare i 30 anni di un film divenuto cult.
Il tour di Dirty Dancing farà tappa anche a Trento, martedì e mercoledì, 13 e il 14 marzo all’Auditorium Santa Chiara. Fra i personaggi di Dirty Dancing anche il Dr. Jake Houseman interpretato da quel Simone Pieroni noto anche per le sue partecipazioni a fiction come «Il Maresciallo Rocca», «Distretto di Polizia» ed «Elisa di Rivombrosa», che in questa intervista ci racconta i contorni dello show.
Pieroni, come è nata la sua partecipazione al musical Dirty Dancing?
Io vengo dalla prosa ma volevo approfondire il mio lavoro di attore così mi sono detto: “Voglio saper anche cantare e ballare”. Così mi sono messo a studiare. Quando mi sono sentito pronto per affrontare dei provini, ho letto su un sito dedicato ai musical dei provini per Dirty Dancing e ho mandato la mia proposta con una semplice mail. Non avevo nessun tipo di aspettativa ma sono stato convocato a Milano per fare la prima audizione, dopodiché questi video dei provini sono andati a Londra e a New York. Poi ho ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto e dall’altra parte c’era il regista Federico Bellone che ne confermava la parte. Per me è stato l’inizio di una meravigliosa avventura.
Vi aspettavate tutto questo successo?
Io no di certo! Il film ha compiuto trent’anni nel 2017, questo è anche uno dei motivi per cui è stato ripreso con questo lungo ed importantissimo tour. Ricordo che quando avevo visto questa pellicola mi aveva colpito ma non mi aveva certo travolto, probabilmente perché è una storia rivolta maggiormente ad un pubblico femminile che si indentifica di più nel racconto. Le nostre fan più sfegatate sono infatti donne e ragazze che si rispecchiano nell’intramontabile storia d’amore tra Baby e Johnny. Quello del nostro musical è un pubblico appassionato fatto di persone che sanno le battute a memoria. Già sul buio a inizio spettacolo, viene giù il teatro e questo ci da sempre una grande carica.
Lei interpreta il ruolo di Dr Jake Houseman: che personaggio è?
È un signore che ha scelto, esattamente come ho fatto io, il lavoro per passione. Jake Houseman è un dottore che quindi ha una predisposizione per aiutare gli altri che trasferisce soprattutto a Baby la figlia prediletta. Questo concetto di aiuto umanitario si ripercuote non solo nella professione di medico ma anche nell’educazione della figlia, tanto che Baby sceglie di andare all’università perché il suo obiettivo è di lavorare alla Fao per portare un aiuto soprattutto ai bambini che stanno morendo di fame nel mondo.
Qual è la forza del vostro show?
Questo spettacolo non è un musical classico, se con questo termine s’intendono quelli che dalla prima scena all’ultima puntano quasi interamente sul cantato. In questo caso c’è un gran bilanciamento delle tre arti, cioè la recitazione, la danza il teatro. Il nostro Dirty Dancing è una commistione fantastica perché l’una lascia il posto all’altra in un’unità registica meravigliosa perché al di là della storia, che non è banale, io lo sottolineo sempre, perché quello che arriva al pubblico è semplicemente vedere che nessuno può mettere Baby in un angolo, la storia di una ragazza un po’ diversa dalle altre della sua generazione, che si innamora del bello di turno. Questo è quello che viene a galla ma sotto ci sono dei temi sociali e politici non indifferenti, ci sono dei concetti straordinari. Tito Suarez al giovane Johnny ad un certo punto dice: “Se tu non studi non arrivi da nessuna parte, non ti devi accontentare di essere solo bello ma ti devi preparare”. Io trovo che quella cosa lì non so quanti la colgano, io l’ho colta perché per me la parola studiare è la chiave della vita e vale per tutti i lavori.
Qual è la parte che la diverte di più durante lo spettacolo?
Quella, per me nuova, di ballerino che per quanto sia breve mi emoziona sempre. Ballare insieme a tutto il corpo dei ballerini, quelli seri, quelli che studiano danza classica da quando avevano 5-10 anni, mentre io li ho raggiunti intorno ai 40. mi da sempre grande soddisfazione.