«L'Unione falla forse»: l'omofobia si combatte ridendo
Se si lascia parlare a ruota libera chi teorizza l'omofobia il risultato è ridicolo: è quanto mostra il film documentario di Fabio Leli L'unione falla forse che sarà proiettato a Trento oggi alle ore 20.30 all'Auditorium di Via Giusti 35 (ingresso libero) . Organizza Arcigay del Trentino e il presidente Lorenzo De Preto dialogherà col regista, assieme a Lorenzo Modanese , referente Famiglie Arcobaleno e l'avvocato Alexander Schuster .
Giovane filmaker pugliese, laureato in Comunicazione, Leli dopo «Vivere alla grande», film sulla piaga del gioco d'azzardo, già nel titolo del nuovo film fa emergere le difficoltà che la legge sulle unioni civili sta incontrando a causa di movimenti e organizzazioni che hanno avviato una crociata per la difesa della famiglia eterosessuale.
Una risata vi disomofobizzerà: è una delle frasi che si trova nel trailer del film. Abbiamo chiesto a Leli di spiegarci come intende questo processo di "disomofobizzazione".
«In pratica il mio è il primo film contro l'omofobia che fa parlare solo gli omofobi - ci ha detto il regista - non credo infatti si sia mai cercato di screditare l'omofobia attraverso gli omofobi come protagonisti. Non c'è infatti un contraddittorio: le parole sono lasciate esclusivamente a loro. Il risultato, loro malgrado, è alquanto ridicolo. Le interviste sostanzialmente sono dei soliloqui, in cui molti personaggi pubblici, tra cui Mario Adinolfi, Silvana De Mari, Gianfranco Amato o Massimo Gandolfini, esprimono le loro posizioni contro le unioni civili, in maniera alquanto bizzarra. Le loro frasi diventano involontariamente ironiche: fanno decisamente ridere, purtroppo per loro».
Nel film lei alterna alle interviste scene di semplice e serena vita quotidiana di due famiglie, omogenitoriali, con i loro bambini.
«Volevo proprio far notare il contrasto tra le parole d'odio degli omofobi e la serenità e normalità della vita delle due famiglie. Cresce il ridicolo in questo modo, nel confronto con le teorie omofobe basate su concetti ed espressioni a dir poco inaccettabili. Posizioni che in questo Paese ci portiamo dietro da troppo tempo. Sembra quasi siano rimaste sopite per poi riesplodere al momento dell'approvazione della legge sulle unioni civili, organizzandosi con gruppi, movimenti e partiti».
Lei ha un qualche interesse nel difendere la legge sulle unioni?
«Non sono un attivista, non milito in gruppi Lgbt, non sono omosessuale, ma come tutte le persone che credono nel valore dei diritti umani sono rimasto sorpreso nel vedere le reazioni omofobe alla legge sulle unioni civili. Anche un po' impaurito: mi fanno paura le persone che hanno organizzato i family day con una partecipazione a mio avviso incredibile. Purtroppo l'omofobia avrà ancora lunga vita in Italia, guardando le piazze dei family day. Spero solo che la legge sull'omofobia passi e non venga bloccata come nelle altre occasioni».
Che idea si è fatta delle persone che ha intervistato? Perché nutrono tanto risentimento nei confronti dei diversi da loro?
«Ci sono delle sfumature, ma la matrice è quella religiosa. A mio avviso si tratta di una sorta di fondamentalismo ultracattolico. Sono estremisti che usano i precetti religiosi per attaccare le persone che non sono come loro: omosessuali, migranti e altro. C'è chi lo fa per convenienza personale, per raccogliere consensi o visibilità, ma c'è anche chi è fermamente convinto di ciò che dice. Purtroppo raccolgono molti consensi, anche tra i giovani».
Adinolfi e gli altri erano consapevoli di che tipo di film stava girando mentre li intervistava?
«No, anche perché non ero molto sicuro nemmeno io di come si sarebbe sviluppato il film. Dissi loro semplicemente di esprimere le loro posizioni in merito alla legge sulle unioni civili. Non li ho mai contraddetti: ho lasciato che parlassero liberamente. Proprio l'autenticità ha fatto emergere i lati ridicoli, ma allo stesso tempo inquietanti, delle loro posizioni».
Distribuire un film come il suo è molto difficile?
«Molti cinema che non siano multisala o indipendenti sono nel circuito Acec, legati al mondo cattolico delle parrocchie. Per cui certamente non è facile farlo proiettare da loro. Nel documentario c'è anche un prete che vorrebbe curare gli omosessuali con la preghiera e in ogni caso la matrice fondamentalista cattolica dell'omofobia è il tema dominante del mio lavoro».