Storia della vite e del vino in Trentino dai Romani ai nostri giorni: il libro di Giordani
Fu Dioniso, secondo la cultura classica greca, Bacco per gli antichi romani, a donare agli uomini la vite insegnando loro il segreto della vinificazione. Secondo la Bibbia, invece, fu Noè il primo a ricevere da Dio il dono della vite e del vino quando, sceso dalla mitica Arca, per prima cosa piantò una barbatella che, giunta a maturazione, regalò all’uomo i primi grappoli d’uva poi trasformati in soave bevanda: il vino. Nettare prezioso che non esiste in natura, ma è espressione della cultura dell’uomo. Ed è proprio il mito di questo dono che appassiona gli studiosi.
Nell’antichità - è stato acclarato dai più recenti ritrovamenti - la vite ha seguito lo stesso percorso che ha accompagnato la storia e la cultura dell’umanità, partendo dal Medioriente e dal Caucaso in particolare, per diffondersi e radicarsi in Occidente, dapprima nelle isole del Mediterraneo, e poi nella nostra Penisola (ribattezzata Enotria in onore al vino). In Trentino le prime viti sarebbero comparse nel V secolo avanti Cristo grazie alle popolazioni di stirpe retica. Lo scrive Mariano Giordani, appassionato di storia locale, già sindaco di Villa Lagarina, culla dell’“eccellente” Marzemino di mozartiana memoria, nel bellissimo volume dedicato al mondo del vino in Trentino.
Un viaggio affascinante il suo. Con un calice di spumante in mano, egli ci conduce - sottolinea Fiorenzo Degasperi nella prefazione dal titolo emblematico «L’erranza del vino» - attraverso i territori trentini della cultura, dell’economia, dell’arte, della filosofia, aprendo di volta in volta una finestra su un tema del passato o del presente, approfondendo il rapporto tra arte e vino. Un rapporto simbolico, metaforico, allegorico, via via dipanatosi su pietra - i tralci di vite scolpiti sugli architravi del Duomo di Trento - passando per Fortunato Depero e l’arte grafica, toccando la pittura nelle numerose scene bacchiche dipinte sulle pareti di innumerevoli ville rinascimentali e barocche, approdando alle etichette d’arte, un vero e proprio archivio visivo dove l’arte ha trovato corrispondenza d’amorosi sensi con l’enologia.
Splendido, ad esempio, il ciclo degli affreschi cinquecenteschi di Villa Margon, oggi di proprietà della famiglia Lunelli (casa spumantistica Ferrari), che oltre a celebrare le imprese di Carlo V, illustrano alcune scene del Vecchio e del Nuovo Testamento: l’ebbrezza di Noè, le nozze di Cana. Ed ancora, scene di vita contadina: la potatura delle viti, la vendemmia, i “conzal”, le botti. Tutti temi che ritroviamo e possiamo ammirare anche negli affreschi del Ciclo dei Mesi della Torre dell’Aquila al Castello del Buonconsiglio che il maestro Venceslao dipinse tra la fine del Trecento e i primi anni del Quattrocento.
Quello di Giordani è un itinerario storico che ci accompagna, moderni viandanti seduti sulla macchina del tempo, alla scoperta delle origini della viticoltura partendo dalla Georgia caucasica e dalla Galilea per approdare alla civiltà retica, all’epoca romana, a quella medievale e rinascimentale, al periodo barocco, al secolo dei lumi con i suoi baccanali. Fondamentali in Trentino le figure dei principi vescovo. A questo proposito di grande interesse è il capitolo dedicato a Paride Lodron che, nato a Castel Noarna nel 1586, governò come principe vescovo la città di Salisburgo per 34 anni e che ogni anno si faceva recapitare grandi quantitativi di buon vino trentino. Rimanendo in quest’ambito temporale ampio spazio è dedicato alle cronache del “divin” cronista don Michel’Angelo Mariani che parlando del Sacro Concilio Tridentino (1545-1563) e dei territori del Tirolo elenca con dovizia di particolari i vini, i vitigni e le zone maggiormente vocate alla coltivazione della vite in Trentino. Vini generosi - racconta - soprattutto quelli a bacca rossa, vini profumati quelli a bacca bianca, vini eccellenti, taluni squisiti, vini amabili, vini dolci, vini “muti che fan parlare”.
Un capitolo è riservato anche ai racconti sui vini trentini di Mario Soldati che nel 1968 visita la casa spumantistica Ferrari e parla del “sior” Giulio Ferrari padre dello spumante secco italiano. Con una simpatica critica: sulle etichette allora era scritto metodo champenoise, un mix italo-francese. E Soldati rivolto a Bruno Lunelli che aveva acquistato l’azienda nel 1952 lo rimbrotta: chiamatelo “metodo champenois” o “méthode champenoise”. Disputa risolta quando la Francia e la Comunità europea vietarono di utilizzare la denominazione “champenois” agli spumanti prodotti al di fuori dell’area di produzione dello Champagne. Giordani cita inoltre le visite ad alcune aziende del Campo Rotaliano famose per il Teroldego (Dorigati e Donati), gli incontri all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige con il preside Giovanni Manzoni, con il professor Franco De Francesco, con l’enologo Bruno Zanetti. E tra i molti vini assaggiati che «non dimenticherò» Mario Soldati cita un “taglio” bordolese (Cabernet e Merlot) del 1961 affinato in piccole botti di rovere di Slavonia che hanno trasmesso al vino - scrive testualmente - un profumo inebriante di quercia, sottobosco, felce e muschio. Nel suo vagabondare, scendendo lungo il corso dell’Adige, in Vallagarina Soldati fa la conoscenza con il Marzemino e in quel di Borghetto d’Avio con i grandi vini della tenuta San Leonardo dei marchesi Guerrieri Gonzaga, vini dal «colore rosso cupo, densi e profumati».
Ricco di spunti e informazioni d’archivio (con una preziosa galleria di immagini e riproduzioni anastatiche presenti nel territorio), il volume scivola via, pagina dopo pagina, calice dopo calice, come solo può fare un buon bicchiere di vino - chiosa Fiorenzo Degasperi - magari un vino da meditazione, espressione cara a Gino Veronelli, come il raro e prezioso Vino Santo Trentino, nettare divino. Chissà se il vino può ancora aiutare a tornare ad essere quella terra colta ed erudita, buongustaia e intenditrice, che era nel periodo d’oro rinascomentale e barocco.
Il volume, dopo aver dato merito ai vignaioli trentini ed in particolare a Gianpaolo Girardi di aver recuperato molte varietà d’uva presenti in Trentino al termine della prima guerra mondiale, si conclude con un rimpianto: il fatto che da noi, pur vantando una produzione vitivinicola tra le più pregiate che si possano trovare a Sud e a Nord delle Alpi, non esista un vero e proprio museo del vino, come molte regioni hanno, dal Portogallo all’Ungheria, dalla Francia all’Austria, dal Piemonte all’Umbria, dalla Toscana alla Sicilia. Un museo che sappia far tesoro delle esperienze maturate altrovre per dar vita ad un progetto originale e seducente, capace di creare e diffondere interesse per la civiltà del vino attraverso la valorizzazione di un territorio ricco di storia, arte e cultura.
Trentino Vite e Vino: storia, arte e cultura (edizioni Athesia Tappeiner Curcu Genovese, pagine 192, euro 25).