Sgarbi porta Botticelli al Mart e vorrebbe Chiara Ferragni (che ancora non conferma)
Da sabato 22 la nuova mostra «visionaria» incentrata sull’artista toscano «a colloquio» con i contemporanei, da Picasso a Dalì fino a Botero e Pistoletto. Ma il colpo sarebbe la «influencer»
ROVERETO. Verrà o non verrà la Venere Ferragni a farsi ritrarre al Mart? Intanto un Botticelli molto pop (tante opere, ovviamente non la celebre “Primavera” degli Uffizi) sta per fare il suo ingresso al Mart di Rovereto.
Sandro Botticelli, nome d'arte di Alessandro di Mariano Filipepi, uno degli esponenti più importanti del nostro Rinascimento, pittore mediceo, protetto da quel Lorenzo che fu il mecenate fondamentale dell'arte e della bellezza italiana, così meravigliosamente rappresentata dai capolavori che ancora oggi amiamo e che concretizzano il senso assoluto di bellezza, basti pensare a due dipinti come la Venere e la Primavera che hanno fissato nel nostro immaginario un assoluto virginale e estetico.
Botticelli sarà così protagonista al Mart di un viaggio tra "il suo tempo e il nostro tempo", come si intitolerà la mostra che aprirà sabato 22 maggio a Rovereto, sotto quella cupola di Botta a vent'anni dalla sua costruzione, che richiama con uno spirito moderno il Pantheon romano. E Botticelli fino al 29 agosto andrà così a incastonarsi dentro la struttura museale insieme alla mostra dedicata a Raffaello, in un'ideale legame, artistico, culturale ed estetico, fortemente voluto dal presidente del Mart, Vittorio Sgarbi.
E come Raffaello viene "letto" nelle sale del Mart insieme alle opere di Picasso, de Chirico e Dalì e ai loro richiami allo stile raffaelliano, anche Botticelli sarà specchiato nelle opere di artisti contemporanei influenzati dal fiorentino. Saranno così ammirabili opere e fotografie di Michelangelo Pistoletto e Renato Guttuso, di Fernando Botero e David La Chapelle, di Oliviero Toscani e Federico Fellini con Anita Ekberg nella «Dolce Vita», una Venere nordica nella fontana e, ancora, con il poco conosciuto, ma rivoluzionario Piero Gilardi e poi, con una sferzata postmoderna con i ritratti di Kate Moss e di Chiara Ferragni in posa come la «Primavera», proprio davanti ad essa agli Uffizi, a testimoniare la durata nei secoli di canoni estetici femminili.
Chiara Ferragni che Sgarbi spera di poter avere a Rovereto, così come andò agli Uffizi, permettendo ai musei fiorentini di diventare un luogo cult giovanile con un boom di visualizzazioni sui social del museo toscano. Ed è evidente il voler trasformare in un momento di «pop art» l'accostamento di Ferragni alla «Venere» rinascimentale, che è stata prestata dalla Galleria Sabauda di Torino.
Ma l'ossessione di certi canoni è destrutturata da opere in mostra che rappresentano una Venere bianca e da una Venere nera, oppure pingue e anoressica e ossuta, eterea o al contrario rudemente popolare oppure idealizzata in un sacro intangibile, ma anche transgender, che fa riflettere sul "doppio" Sgarbi che da diffusore d'arte e di bellezza è capace di difendere con vigore la diversità o meglio le tante e complesse ricche diversità del genere umano.
Una mostra nata da un'idea di Vittorio Sgarbi e Eike Schmidt, il vulcanico e geniale direttore tedesco degli Uffizi e poi progettata da Alessandro Cecchi direttore della Fondazione Casa Buonarroti, con la curatela di Denis Isaia, responsabile del contemporaneo per il Mart.
E così il visitatore, quasi preso per mano dalla visione sgarbiana, potrà godere delle diverse fasi della vita di Botticelli, passato dal racconto esaltante della bellezza nella seconda metà del Quattrocento della Firenze medicea al furore religioso.
Dalla realizzazione di opere giovanili come il «Ritratto di fanciullo con mazzocchio», il classico copricapo dell'epoca, in cui si intravvede la mano del suo maestro Filippo Lippi e altre che si legano a Antonio del Pollaiolo e Andrea del Verrocchio, altri due grandi e influenti maestri che contribuirono alla grandezza fiorentina, vetta assoluta nel Rinascimento.
Si potranno vedere opere da cui emerge la grandezza botticelliana con tutti i suoi tormenti, ben espressi dal velo di malinconia che traspare in tutti i suoi dipinti. Bellezza non significava automaticamente felicità, nemmeno nell'età d'oro dell'arte italiana. E poi le sue caducità. Botticelli visse periodi di profonda crisi che ne minarono le qualità espressive. Chiamato, con altri, a realizzare la Cappella Sistina, anche per gravi motivi famigliari, ma soprattutto a causa di una crisi realizzativa franò inspiegabilmente e oggi resta oscurato nell'immaginario di massa dagli affreschi di Michelangelo.
Alla fine del XV secolo entrò in una crisi mistica, turbato dalle prediche furibonde di Savonarola che fu poi bruciato in piazza della Signoria nel 1498. Così visse un'altra vita. Ma le opere che potremo ammirare sono capisaldi della storia dell'arte, come «Pallade e il centauro» in arrivo dagli Uffizi o il «Compianto del cristo morto» prestato dal Museo Poldi Pezzoli di Milano e realizzato nei primi anni del 1500. Le predicazioni di Savonarola contro la vanità e il superfluo e contro una concezione della bellezza considerata vacua, avevano aperto una faglia nelle concezioni di Botticelli e avevano rivelato una sua fragilità intellettuale ed emotiva. Ma resta l'armonia e la dolcezza dei colori sulle sue tele, pur certo in una evidente drammatizzazione delle rappresentazioni verso la fine della sua vita. Il pittore fiorentino vivrà gli ultimi anni disorientato e indebitato. Scomparso il suo protettore Lorenzo de Medici poco prima del suo ispiratore religioso, morirà a sua volta, dimenticato nel 1510. Le sue opere saranno ignorate a lungo, ma oggi il suo recupero è definitivo.