Il Coro Dolomiti di Trento rischia di sparire: «Il Covid ci ha fermati, e mancano i giovani»
L’allarme del presidente, l’ex senatore Santini: «Siamo la terza formazione della città, ma non abbiamo un sodalizio come Salt e Sosat. Lo stop ai concerti è stato un grave colpo»
TRENTO. Ancora qualche settimana per sapere il destino dello storico Coro Dolomiti di Trento. Da quando è scoppiato il coronavirus nubi dense con tonalità dal grigio chiaro al grigio scuro hanno cominciato ad addensarsi sulla storica formazione coristica presieduta da ventidue anni dal giornalista ed ex senatore Giacomo Santini e diretta dal maestro Tarcisio Battisti, docente di Conservatorio.
Se per tutto il mondo della coralità trentina la pandemia ha significato lo stop a esibizioni, prove, concerti, per il Dolomiti fermarsi è stato più pesante. Per due motivi, come sottolinea Santini: «Per l’età media dei nostri coristi, piuttosto avanzata, e la difficoltà di trovare un ricambio nei giovani». Il coro ha festeggiato nel 2019 i 70 anni di storia: oggi ne ha 72. E 72 è anche l’età media dei suoi coristi, circa trenta. Alcuni nell’ultimo periodo hanno lasciato, come lo storico corista ed ex direttore Orlando Mazzalai, over 90, l’unico rimasto dei coristi degli esordi.
«I nuovi innesti – aggiunge il presidente Santini – negli ultimi cinque anni si contano sulle dita di una mano. Già in gennaio avevo annunciato la fine della mia esperienza da presidente, dopo oltre vent’anni. E in primavera ci eravamo detti di aspettare settembre per vedere se c’erano le condizioni per continuare». Le possibilità che davvero una tradizione così prestigiosa interrompa il suo cammino quanto sono concrete? «Al momento non sono pessimista. Sento più voci che vogliono andare avanti. Certo, per un coro come il nostro, che nelle ultime estati cantava soprattutto nei rifugi, le restrizioni anti-Covid sono state pesanti, visto che in quota gli spazi già erano ridotti. L’età avanza per tutti e a differenza dei cori di paese, dei sobborghi di Trento e delle valli, per noi è difficile il reclutamento. Nei piccoli centri entrano nel coro anche i giovani, seguendo padri e nonni. In città è diverso, soprattutto oggi. Con il Covid siamo fermi ormai da un anno e mezzo. Qualche corista del Dolomiti si è tenuto in allenamento, per la voce, facendo prove con qualche altro coro. Ma, ripeto, nulla è deciso. Ci troviamo a metà settembre in assemblea e decideremo cosa è meglio fare, con una serena analisi di prospettiva».
Tra le possibilità di compromesso, per scongiurare la fine della storia del Dolomiti, la riduzione della compagine corale dai 30 coristi standard a una formazione più piccola, di 20-22 elementi, anche se il repertorio classico del Coro impone numeri consistenti, quanto a voci.
Di fusione con altri cori si era parlato in passato, ma ci sono i campanili da superare e i cori dei sobborghi più vicini alla città al momento non soffrono nei numeri tanto da spingerli a unire le forze. «Dopo Sosat e Sat siamo il terzo coro della città – ricorda Santini – ma purtroppo non abbiamo come bacino una forte associazione. Paghiamo questo scotto. E forse – perché no, magari va ammesso ma senza pentimenti – ci siamo un po’ isolati nel corso degli anni ed è mancato il ricambio necessario». Un’altra possibilità è quella di rimanere attiva come associazione, a prescindere dall’attività concertistica.
L’appello a nuove forze (canore), comunque, è lanciato: «Ci rendiamo conto, però – specifica ancora Santini – che la storia del Coro Dolomiti è molto prestigiosa e il livello raggiunto con il maestro Battisti così elevato che servirebbe comunque tempo per formare nuove voci».
La Negritella e La Cros sono canti «nati in casa» e cavalli di battaglia di questo coro di città che nel dopoguerra scelse il nome delle montagne più belle e conosciute, le Dolomiti, per far conoscere la sua voce e il suo canto armonioso, struggente e innamorato, che si è ripetuto finora in oltre 1300 concerti, anche all’estero (persino in Perù) e davanti a pontefici e presidenti della Repubblica.