Ascanio Celestini: vi racconto Pasolini, l'intellettuale curioso che esplorava anche la lingua degli altri
Intervista con l'autore e protagonista dello spettacolo teatrale che va in scena questa sera, 2 settembre, al Teatro Capovolto di Trento, nel centenario della nascita del grande protagonista della letteratura, del cinema e in generale della cultura italiana del Novecento
TRENTO. Ha un titolo curioso, "Museo Pasolini", il nuovo spettacolo di e con Ascanio Celestini in scena questa sera, venerdì 2 settembre, al Teatro Capovolto per il festival letterario "Prometeo Capovolto". L'attore romano condurrà il pubblico nella visita di un ipotetico museo pasoliniano, in occasione del centenario della nascita a Bologna di Pier Paolo Pasolini, attraverso le testimonianze di chi l'ha conosciuto, ma anche di chi l'ha immaginato, amato e odiato.
Ascanio Celestini, perchè uno spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini?
“Pasolini è un intellettuale che ha vissuto la propria epoca in maniera molto attenta, ha avuto coscienza e consapevolezza di quello che stava succedendo. Mi sembrava interessante ripercorrerne la vita e le opere, come si direbbe a scuola. Nel pensare a questo Museo Pasolini sono partito da una definizione di Vincenzo Cerami che affermava che prendere tutte le opere di Pasolini in ordine cronologico vuol dire ottenere il disegno dell’Italia dal ventennio fascista fino agli anni settanta. Ed è un po’ quello che ho fatto in questo lavoro”.
Per il quale ha anche scelto un titolo particolare.
“Museo Pasolini si riferisce al fatto che credo di aver fatto davvero un lavoro museale nel senso che il museo serve anche a rimettere ordine tra gli oggetti. Nello spettacolo facciamo un percorso che non è solo la somma degli oggetti che vediamo perchè sono collocati anche all’interno del tempo e della storia dell’arte, non solo dello spazio, e per questo portano con sè il significato della loro epoca”.
Qual è a suo avviso l'attualità di Pasolini?
“La modernità di Pasolini secondo me sta nel fatto che si mette sempre a disposizione della lingua degli altri. Ad esempio scrive in friulano pur essendo nato a Bologna e per questo viene soprannominato da molti il poeta friulano. Oppure scrive i libri nella lingua parlata a Roma pur non essendo romano”.
Quanto ha coinvolto gli italiani il centenario della sua nascita che stiamo celebrando in questo 2022?
“Difficile dirlo però credo che Pasolini non sia poi così tanto conosciuto. La sua scrittura è molto ostica e complicata e non rende semplice approcciarsi a lui. E’ meno noto ad esempio di Sciascia, Moravia o Calvino. Lo si collega soprattutto alla sua terribile morte tragica e violenta ma pochi lo hanno letto. Anche il centenario della nascita non è stata un’occasione per ricordarlo come si deve, le celebrazioni sono state molto soft e limitate alla scuola, a qualche mostra e a qualche spettacolo teatrale”.
Quale aspetto l'affascina di più di questo grande intellettuale?
“Ho conosciuto Pasolini attraverso i suoi libri romani Ragazzi di vita e Una vita violenta e successivamente ho cominciato a vedere i suoi film anche se quando ero ragazzo io non era facilissimo trovarli. Mi affascina da sempre questa sua grande curiosità che lo porta anche a fare cinema senza averlo studiato. Aveva sì scritto delle sceneggiature ma è cosa ben diversa dalla produzione di un lungometraggio. Eppure si lancia sempre, il suo slancio vitale ogni volta che si avvicina a qualcosa di nuovo è davvero straordinario e lo ha portato a produrre tantissime opere tra il 1955 e la sua morte".
Come si immagina che giudicherebbe l’Italia di oggi ad un passo dalle elezioni?
“E’ una delle prime cose che abbiamo fatto subito dopo la sua morte: ci siamo sempre chiesti cosa avrebbe detto Pasolini, come avrebbe commentato lui questa o quella situazione. Ma nessuno può saperlo perché dalla sua scomparsa sono cambiate molte cose. Fino all’ultimo si è sempre dichiarato comunista e penso che anche oggi avrebbe dedicato la sua attenzione a chi non ha diritto di parola. Una delle ultime cose che ha scritto è stato l’intervento per il congresso dei radicali a cui non è riuscito a partecipare: diceva che il compito degli intellettuali è ricordare che ci sono sfruttati e sfruttatori ma che sono sempre i primi a soffrire”.