Spettacoli / Concerto

Ska - J, esplosione infinita tra jazz e ritmica afro-giamaicana tutta da ballare

Questa sera al teatro Capovolto di piazza Battisti l'esibizione della nota band veneziana in cui suona anche il contrabbassista trentino Sandro “Kappa” Caparelli. Intervista con Marco “Furio” Forieri, già membro dei Pitura freska e autore di molte hit dello storico gruppo reggae

di Fabio De Santi

TRENTO. Dalla laguna veneziana al Teatro Capovolto gli Ska – J sono pronti a far ballare il pubblico di Trento.

La formazione, in cui suona anche il contrabbassista trentino Sandro “Kappa” Caparelli, che da oltre vent’anni unisce il jazz ai ritmi in levare afrogiamaicani sarà in concerto stasera (mercoledì 2) alle 21.15 in piazza C. Battisti.

98% jazz, 2% ska: così si presentano gli Ska-J, quando l'inconfondibile sagoma di Marco “Furio” Forieri (già membro dei Pitura freska, autore/compositore di molte hit del gruppo reggae veneziano) appare con il suo sax sul palco e il concerto ha inizio.

Marco Forieri, inizierei dal live che state proponendo in questa estate?

«La line up è quella della vecchia formazione degli Ska - J che vent’anni fa registrò il primo disco. Nel 2002 abbiamo suonato insieme per la prima volta quasi per scherzo per festeggiare il Carnevale, eravamo musicisti veneziani allora ancora quasi giovani, e visto che ci siamo divertiti molto abbiamo continuato questa avventura che si è modificata nella formazione e in altre cose nel corso del tempo ma perdura ancora oggi. In questa occasione, però, ritornano i primi musicisti e il repertorio verterà sui brani con cui abbiamo iniziato diversi anni fa».

Proprio la dimensione live caratterizza il vostro percorso artistico; cosa vi diverte nel contatto con il pubblico?

«Detto da musicista, il grande divertimento per me è la possibilità di proporre ancora brani della tradizione jazz con questa ritmica afro-giamaicana che consente a brani nati dalle grandi orchestre tra gli anni trenta e cinquanta per far ballare la gente, a tornare a far ballare. Per me è una grande soddisfazione vedere la gente che balla su brani di Duke Ellington o di Thelonious Monk, Count Basie o Charles Mingus».

Da sempre unite il jazz e lo ska con i suoi ritmi in levare: eri convinto del successo di questa formula?

«Anche se la musica reggae o giamaicana ha i suoi alti e bassi a seconda del periodo, mi ero convinto che la cosa potesse funzionare un po’ per la facilità dell’ascolto nonostante la base jazz e un po' per la validità dei musicisti che suonavano. Ero sicuro che con un certo tipo di musicisti il risultato sarebbe stato più che buono».

Proprio quest'anno è stata pubblicata la ristampa in vinile del vostro primo lavoro “Venice goes ska” che era uscito solo in cd.

«Credo che oggi il vinile sia l’unico supporto fonografico che si vende anche se ora sta tornando un pochino il cd. Il vinile, dopo il grande calo del 1992-93 causato dall’uscita dei cd, non è più scemato nelle vendite, è sempre stato costante nei numeri. Poi purtroppo questa cosa è diventata un po’ una moda e le grandi case discografiche hanno acquisito i master di molti aristi che erano sparsi tra piccoli produttori per poi ristampare tutto quello che era stato realizzato dagli anni ottanta. Resta sempre il fatto che la maggior parte delle persone ascoltano musica tramite Spotify o strumenti simili».

Qual è il vostro rapporto con i social?

«Alla fine di ogni concerto dico sempre che ci possono trovare su tutti i social (facebook, instagram, telegram) ma che ora sono qui: va bene quindi usare i social ma la realtà è sicuramente migliore».

Gli Ska J sono conosciuti anche per le lore strenne discografiche natalizie.

«E’ un nostro pallino: anche oggi il disco di Natale è il primo che mi interessa perchè mi piacerebbe fare un paio di brani nuovi e stampare in vinile un best of dei brani di Natale. Per il resto, negli ultimi quattro anni ho prodotto due singoli, non ha più senso per chi non è nel mainstream fare lavori completi di dodici brani. E’ meglio fare il singolo, il video e dopo un anno ancora un altro singolo e magari dopo tre o quattro anni li riunisci tutti insieme a qualche brano nuovo e allora sì regstri un album».

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