Edilizia in sofferenza per 848 milioni: +30%
Le aziende in difficoltà sono 550
I debiti non pagati dall'edilizia trentina sono arrivati a marzo, secondo la Banca d'Italia, alla cifra record di 848 milioni di euro, 200 milioni in più di un anno prima, pari a un balzo del 30%, e più del doppio del 2013, l'anno in cui avevano superato i 400 milioni. Le aziende in difficoltà sono 550: in un anno sono entrate in sofferenza 102 imprese. Le ore lavorate nel comparto, segnala la Cassa edile, diminuiscono del 7,1% nell'ultimo semestre. Gli occupati a maggio sono del 10% inferiori allo stesso mese del 2015. Dai 17 mila pre-crisi, ormai gli operai edili sono scesi a quota 8.000. In questo quadro di crisi persistente, il presidente di Ance-Assoedilizia Giulio Misconel va all'attacco: altro che litigi tra le imprese, è la Provincia che fa saltare appalti ed è in ritardo nei pagamenti, contribuendo a mettere in ginocchio un settore che vuole risollevarsi.
Misconel parte dagli «appalti fermi per centinaia di milioni» di cui si parla sull' Adige di domenica scorsa. «Il nostro settore, ormai da quasi un decennio, sta affrontando una fase di profonda crisi - afferma il presidente Ance - Abbiamo fatto sacrifici, alcuni dei quali ci sono stati chiesti se non addirittura imposti. Pensiamo al taglio orizzontale dell'8% disposto dalla Provincia sul prezziario utilizzato per i progetti da porre a base di gara, che ha aggravato una situazione già di per sé critica causata dalla consistente riduzione del numero e del valore degli appalti pubblici».
«A tutto ciò - prosegue Misconel - dobbiamo ora sommare anche il fattore dei ritardati pagamenti. La Provincia così facendo non dà futuro né alle nostre imprese né ai nostri lavoratori. Provocatoriamente allora ci chiediamo se non potevano essere rinviati anche i premi ai dirigenti provinciali. Oppure vengono premiati perché sono stati bravi a ritardare l'aggiudicazione degli appalti?».
I ritardi degli appalti, ricorda Misconel, vengono imputati all'eccessiva litigiosità delle imprese. «Ciò, purtroppo, è fisiologico quando il lavoro è scarso e quando si riscontrano carenze e poca chiarezza negli atti di gara. Ma vorrei fare delle puntualizzazioni. Sul Nuovo ospedale trentino, il Not, il più grande appalto degli ultimi decenni in provincia di Trento, non sono state di certo solo le imprese a sbagliare. Qualcosa di anomalo semmai si è verificato nella gestione delle procedure di gara».
«Per l'appalto dei lavori di bonifica delle rogge di Trento nord - insiste Misconel - le imprese tirate in ballo avevano scritto alla Provincia, prima di proporre ricorso, cercando una soluzione extragiudiziale per evitare lungaggini. La risposta della Provincia è stata totalmente negativa». Per Misconel «ci sono altri esempi di gestione inadeguata degli appalti da parte dell'ente pubblico. Si pensi alla revoca del bando, dopo anni di rinvii, per la realizzazione del centro della protezione civile di Ossana, con le imprese che hanno speso migliaia di euro per lo studio del progetto. Ma ricordiamo anche i bandi prima pubblicati e poi revocati relativi alla variante di Strigno, alla circonvallazione di Pinzolo, alla Loppio-Busa».
«Per quanto riguarda i criteri di aggiudicazione degli appalti, continuiamo a sostenere che devono essere premiate le imprese vere, che hanno dipendenti, rispettano le regole e applicano i contratti di lavoro. Il sistema della casualità basato sulle medie, in tale ottica, è da rivedere e risulta frustrante per gli imprenditori».
«Vedevamo di buon occhio il cosiddetto metodo Irler, che doveva velocizzare le procedure. Stiamo invece attendendo da oltre 120 giorni le risposte a offerte per lavori per i quali alle imprese erano stati assegnati solo 30 giorni per formularle. A pochi chilometri dai confini provinciali gli enti pubblici ci impiegano meno tempo. È arrivato il tempo di cambiare passo - conclude Misconel - La politica deve avere il coraggio di farlo capire ai propri dirigenti. Chi fa resistenza e non si assume le proprie responsabilità va rimosso. La carenza di visione e progettualità è altrettanto, se non più grave, della scarsità di finanza pubblica».