Negozi in Trentino, in forte diminuzione la presenza sul territorio di panifici e macellerie ma anche di altre piccole attività
Negli ultimi dieci anni si è registrato un calo marcato delle rivendite alimentari specializzate: nei settori carne -33% e per il pane -21%, uno uno scenario che ha visto crescere le chiusure dei piccoli negozi di vicinato nelle realtà periferiche. Se n'è parlato oggi in un convegno a Trento
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TRENTO. In Trentino sono circa 1.500 gli esercizi commerciali di generi alimentari, 820 dei quali non specializzati e 680 specializzati.
Gli ipermercati sono passati dai 3 del 2010 ai 6 del 2020; i discount da 2 a 11, i supermercati da 193 a 178 mentre i negozi specializzati sono passati da 760 a 680, con un calo considerevole nei settori carne (-33%) e pane e prodotti da forno ( 21%).
Nei 5 comuni più popolosi (Trento, Rovereto, Riva del Garda, Arco e Pergine) il negozio specializzato registra un -12% nel numero ma una crescita della superficie media da 40 mq a 50.
Nel resto della provincia gli esercizi commerciali sono diminuiti dai 389 del 2010 ai 312 del 2020, mentre la superficie media è rimasta invariata a 40 mq. Gli addetti sono rimasti pressoché invariati (circa 4.500) per l'esercizio non specializzato, mentre sono calati da 1.200 a 980 per gli esercizi specializzati.
Se n'è discusso nel corso dell'incontro dal titolo "Il futuro dei dettaglianti dell'alimentazione: categoria in via d'estinzione?".
All'incontro hanno partecipato il presidente dell'Associazione commercianti al dettaglio e vicepresidente vicario di Confcommercio Trentino Massimo Piffer, il presidente della categoria degli alimentaristi Nicola Ribaga, la presidente nazionale Fida Donatella Prampolini, l'assessore provinciale al commercio, turismo e promozione Roberto Failoni e il presidente della sezione Alto Garda e Ledro di Confcommercio Trentino Claudio Miorelli.
«Dobbiamo proporre con forza - ha commentato Ribaga - alle amministrazioni comunali strumenti concreti per dare un'effettiva dimensione concorrenziale anche agli esercizi commerciali che sono il punto di riferimento delle comunità periferiche.
Facciamo un richiamo alla politica che garantisca un ambiente concorrenziale, ma ben diversificato, tra media e grande distribuzione e micro- aziende, a garanzia di tutte le imprese, anche quelle familiari e di prossimità. Negli ultimi 10 anni, pre covid, questa evoluzione commerciale ha ampliato il fenomeno delle chiusure dei piccoli negozi di vicinato».
Per i 100 anni della Famiglia Cooperativa di Villa Lagarina si è tenuta una tavola rotonda con l’antropologo Annibale Salsa, il presidente di Sait Renato Dalpalù, l’ex Giorgio Fiorini e il presidente della Famiglia Cooperativa Andrea Baldo sul futuro dei negozi di prossimità.
Spiega la Federazione: «I numeri sono significativi. Il sistema della cooperazione di consumo trentina è fatto da una rete di quasi quattrocento punti vendita molto diffusi sul territorio, anche nelle più piccole località. 224 di questi negozi rappresentano l’unico esercizio del paese.
Tre su dieci hanno una superficie inferiore ai cento metri quadri di superficie, e rappresentano appena il 6% delle vendite. 24 punti vendita fatturano meno di 150 mila euro l’anno, 159 meno di 500 mila euro, la metà dei negozi fattura appena il 10% del totale.
Dati che fotografano la sfida quotidiana del movimento cooperativo trentino nel garantire in ogni luogo del Trentino un servizio essenziale come quello di un negozio alimentare.
Una sfida che si gioca tra la sostenibilità economica e la responsabilità nei confronti della propria comunità, frutto di una storia secolare e di valori condivisi.
Annibale Salsa, docente universitario di antropologia e probabilmente il maggiore conoscitore delle comunità delle Alpi, è partito da lontano, dall’Ottocento, per evidenziare la crisi del modello comunitario che nei secoli sulle Alpi ha regolato la vita civile attraverso la gestione dei beni comuni.
Nel lento e inesorabile processo di spersonalizzazione e omologazione che ha portato, in epoca recente, a realizzare i grandi centro commerciali, la cooperazione di consumo ha mantenuto un ruolo fondamentale di presidio anche nei piccoli centri. Un valore emerso con forza anche di recente quando la chiusura imposta dalla pandemia ha costretto le persone a fare la spesa vicino a casa. Dove ha trovato i negozi della cooperazione».
«L’epidemia sta cambiando certe cose – ha affermato il prof. Salsa – la gente ha riscoperto il rapporto di prossimità, anche i modelli di turismo sono cambiati. Non tutto è perduto. Il centro commerciale, il “non luogo”, anonimo e impersonale, non appartiene a questa comunità».
«Questa è una prospettiva che può dare un certo tipo di ottimismo – ha detto l’ex presidente di Sait Giorgio Fiorini – ma dal punto di vista tecnico questi piccoli negozi di periferia sono antieconomici. Più un negozio è piccolo, più i costi sono sproporzionati, e far quadrare questi conti non è semplice.
Amareggia di più il fatto che non si riconosce il valore a questa relazione. Per questo occorre lavorare sulla cultura, sulla promozione dei nostri valori»
«Oggi l’importante è resistere – ha affermato Renato Dalpalù – perché negli anni il consumatore si è spostato sui negozi più grandi, con maggiore assortimento.
I piccoli negozi sono stretti tra i limiti della fisica (nel negozio di cento metri non ci stanno gli stessi prodotti della superficie di 400) e dell’economia (costa di più il piccolo negozio, ma non può costare esageratamente di più). Occorre essere molto efficienti, perché oggi è sempre più difficile compensare i costi tra i negozi più strutturati e quelli più piccoli».