Idroelettrico, l'allarme sulle concessioni: in Parlamento avanza il rischio di liberalizzazioni con perdita di controllo pubblico
A lanciare l'allerta sono due parlamentari di montagna, il bellunese De Menech e il piemontese Borghi: «Rischiamo di dipendere ancora di più dall'estero. Mentre nazioni a noi vicine blindano le concessioni, a Roma si tratta questo asset strategico confondendolo con le assegnazioni balneari»
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ROMA. Allarme per il controllo futuro delle grandi centrali idroelettriche italiane: incombe lo spettro della deregulation e di concessioni che ptorebbero emigrare, mettendo a rischio gli approvvigionamenti, oltre ai ritorni economici.
A lanciare l'allerta sono due deputati Pd da sempre attenti alla questione montagna: il bellunese Roger De Menech (già sindaco di Ponte nelle Alpi) e il piemontese Enrico Borghi (della provincia del Verbano-Cusio-Ossola).
Lo fanno con una nota stampa in cui ricordano che «le audizioni in corso al Senato sul disegno di legge Concorrenza, che hanno visto sfilare tutti i principali player industriali e produttivi del settore idroelettrico, non hanno fatto altro che confermare tutte le preoccupazioni che avevamo sollevato sin qui».
I due parlamentari spiegano poi la sostanza dei rischi: «L’incrocio tra la misura inserita nel decreto semplificazioni del 2018 (che ha regionalizzato le competenze delle gare) e la misura inserita nel ddl Concorrenza (che impone le gare a spron battuto) porta ad un rischio altissimo per l’Italia, che già il Copasir ha ampiamente sottolineato: la perdita del controllo su un asset energetico fondamentale e decisivo per il conseguimento degli obiettivi della decarbonizzazione come il settore idroelettrico, e il rischio che la frammentazione delle gare produca da un lato la perdita del know how industriale nazionale e dall’altro l’accaparramento delle concessioni da parte di soggetti esteri, circostanza che aggraverebbe ancor di più la nostra dipendenza dall’estero già evidenziatasi in questi giorni in maniera molto pesante».
Va qui ricordato che oggi l'idroelettrico rappresenta oltre il 15% del totale della produzione nazionale di energia (quasi la metà arriva dal gas e circa il 13% da fonti rinnovabili come eolico e solare).
«La via italiana alle rinnovabili - scrivono ancora De Menech e Borghi - non si può tradurre nella dispersione, o peggio ancora, nella perdita degli asset produttivi e ambientali.
Peraltro, mentre in Italia ci si attarda ancora su queste concezioni datate i cui presupposti ideologici sono fermi agli anni ’90, altre nazioni a noi confinanti proprio in questi giorni stanno blindando le loro concessioni idroelettriche, avendone perfettamente compreso la portata strategica».
I due deputati democratici richiamano quindi il caso della Svizzera e in particolare dei Grigioni, cantone confinante con l'Alto Adige: «Qui è stata approvata la strategia energetica 2022-2050 scegliendo di non rinnovare le concessioni in scadenza e di aumentare la partecipazione pubblica, per meglio tutelare un bene fondamentale sia in termini ambientali che energetici, con un ampio consenso politico».
Ma anche i nostri vicini a ovest hanno già agito: «È il caso della Francia, dove il Senato ha appena approvato una norma (che sembra ricalcare la proposta avanzata a più riprese dal Pd) che consente al concessionario di derivazioni idroelettriche di presentare allo Stato un programma generale di investimenti attraverso piani pluriennali o tramite un programma di interventi straordinari per la prosecuzione della concessione».
Infine, un appello accortato afifnché si colga gli aspetti peculiari dell'idroelettrico e li si sottragga alle logiche delle liberalizzazioni banalizzanti e rischiose: «I Paesi attorno a noi stanno proteggendo i loro asset, e in Italia si va allegramente e senza approfondimenti verso una dinamica pericolosa, confondendo le concessioni idroelettriche con quelle balneari e non comprendendo che la valenza di questo settore non è solo economico, ma è strategico sia sotto il profilo ambientale che sotto quello della sicurezza».
Borghi e De Menech sottolineano che una proposta di legge su cui lavorare esiste già, quella avanzata dal Pd: «Occorre rapidamente riprenderla in mano (è l'unica peraltro anche ad assicurare ritorni economici ai territori montani che producono il bene-acqua essenziale per questa attività).
Bisogna guardare a che cosa accade attorno a noi, per evitare di diventare ancora di più dipendenti dall’estero».