Mele, vendite in calo eppure una nuova ricerca dimostra che sono anti infiammatorie
I dati di mercato di aprile segnano criticità soprattutto per i piccoli calibri, proprio mentre l'Università di Ferrara pubblica uno studio basato su frutta della Val di Non, che esamina l'interazione con le cellule umane e ne certifica la capacità di bloccare i processi infiammatori
I DATI L'export del Trentino
TRENTO. Le vendite di mele nel mese di aprile non sono state particolarmente entusiasmanti e le giacenze al primo di maggio sfiorano le 450.000 tonnellate, 30.000 in più rispetto allo scorso anno.
Lo comunica Assomela, il Consorzio delle organizzazioni di produttori di mele italiani che rappresenta l'80% della produzione nazionale.
Le criticità si incontrano principalmente per i piccoli calibri e per il prodotto di II categoria, in modo particolare per la Golden, ma anche per altre cultivar. Considerate le difficoltà di collocazione sul mercato, questo prodotto - comunica il Consorzio - verrà prevalentemente destinato alla trasformazione. Vista una minore disponibilità, i calibri maggiori e la prima categoria, potrebbero, al contrario, trovare una migliore remunerazione sul mercato.
Infatti, secondo una analisi condotta da Assomela presso i soci, nella scorsa stagione i calibri 80+ per la Golden Delicious rappresentavano il 50% del totale, per il raccolto del 2021 solo il 28%: si tratta di una notevolissima differenza che peserà nettamente sulla liquidazione finale ai produttori. Restano le preoccupazioni in merito ad un generalizzato calo dei consumi che potrebbe impattare anche sui mesi estivi e per l'aumento generalizzato dei costi, che, nel caso del sistema melicolo italiano, risultano essere superiori di almeno 10-12 centesimi al chilogrammo rispetto allo scorso anno.
Al momento questi costi sono interamente assorbiti dai produttori. Consorzio ritiene inoltre "cruciale ed urgente aprire un confronto con i retail per verificare l'esistenza di margini di assorbimento dei fattori negativi nei prezzi di vendita in modo da redistribuire i costi aggiuntivi lungo tutta la catena di approvvigionamento".
A rilanciare l'appetibilità delle mele per i consumatori potrebbe essere anche l'esito di una ricerca svolta all'Università di Ferrara, che rivela le proprietà antinfiammatorie delle mele, grazie a un'analisi dell'interazione con le cellule umane.
In uno studio pubblicato recentemente dal Dipartimento di medicina traslazionale e per la Romagna dell'Università di Ferrara, svolto in collaborazione con il reparto Ricerca e Sviluppo del Consorzio Melinda, viene descritto il meccanismo d'azione - fino a ora sconosciuto - attraverso il quale le mele svolgono un'azione anti-infiammatoria naturale.
"Abbiamo sempre pensato che le mele e la frutta in generale fossero alleate della salute perché ricche di sostanze benefiche che in modo passivo favoriscono il corretto funzionamento del nostro organismo, come fibre e polifenoli. Invece ora abbiamo scoperto che la loro 'bontà' non si limita a questo: è stata una sorpresa notare che sono in grado di 'dialogare' direttamente con le nostre cellule e riprogrammarle, favorendo lo spegnimento dei processi infiammatori e l'attivazione di quelli anti infiammatori", ha spiegato Barbara Zavan, professoressa del Dipartimento di Medicina Traslazionale e per la Romagna di Unife e coordinatrice dello studio.
I ricercatori hanno preso in esame la varietà Golden Delicious della Val di Non e ne hanno analizzato in vitro l'interazione con le cellule dell'organismo umano.
"I risultati hanno dimostrato che gli esosomi estratti dalle mele vengono inglobati dalle cellule umane e, una volta internalizzati, le inducono ad attivare un profilo anti-infiammatorio", ha aggiunto Zavan.
Ad oggi non si sa quale sia la quantità minima di esosomi, e quindi di mele, necessaria per innescare le reazioni a catena sul sistema immunitario e se questo effetto avvenga anche su altre cellule. Proprio per trovare una risposta a queste e ad altre domande, la ricerca continuerà nel prossimo triennio, coinvolgendo anche altre varietà di mela coltivate in Val di Non.