"La Caserma"? Inutile sfoggio militarista, dice Massimiliano Pilati del Forum per la Pace
«Addestramento militare? Siamo fuori tempo massimo. Dobbiamo iniziare a pensare ad altre forme di educazione, che vadano bene anche per i ragazzi meno disciplinati, e non parlare solo di ordini e di punizioni». Massimiliano Pilati, presidente del Forum trentino per la pace e i diritti umani, boccia il docu-reality di Rai2 “La caserma”, realizzato grazie alla collaborazione di “Trentino Film Commission” in una residenza religiosa di Levico, adattata per l’occasione ad ambiente militare. «La Trentino Film Commission fa quel che deve fare, ossia promuovere il territorio. Semmai si può discutere su ciò che sarebbe meglio fare e non fare, ma non voglio entrare nel merito - spiega Massimiliano Pilati - Ciò che preoccupa è la banalizzazione dell’argomento: le caserme servono per preparare le persone alla guerra e questo messaggio non mi va bene». Pilati racconta di aver seguito la trasmissione proprio per comprendere meglio i contenuti. E punta il dito contro lo scivolone della Rai: «La prima puntata è andata in onda il Giorno della memoria». «Nel docu-reality ci sono addestratori e reclute: è stata portata in prima serata una cultura militarista, secondo cui l’unica cosa da fare è obbedire. Ricordiamoci che ci sono persone che in passato hanno fatto il carcere perché non volevano obbedire a comandi militari che ritenevano sbagliati - prosegue il presidente del Forum trentino per la pace - Non sto dicendo che va bene disobbedire, perché per vivere in società occorrono sia la disciplina, che l’ordine e il rispetto. Il problema è quando l’obbedienza diventa cieca: per questo motivo è stata una caduta di stile della Rai mandare in onda la prima puntata nel Giorno della memoria, il giorno che ricorda a cosa ha portato una cieca obbedienza». Pilati, con l’intento non di una critica fine a se stessa ma di un avvio di un confronto costruttivo, sottolinea come sia importante «porsi delle domande in merito ad un problema educativo e sociale, dato che non esiste solo un approccio militare per risolvere i conflitti». Obiettivo del docu-reality è costruire dinamiche che tengano incollati al video i telespettatori, creare curiosità e aspettative. Ed è così che i partecipanti - le “reclute” - sono maggiorenni o poco più, non scelti a caso. Pantaloni dal cavallo basso, chiome fluenti e mani in tasca per i ragazzi; minigonne, trucco marcato e scollature per le ragazze: quanto di più lontano ci sia dallo stereotipo di “militare”, dai concetti di “regole” e “disciplina”. Dormono in camerate, la luce si spegne alle 23, al mattino c’è l’alzabandiera. Niente social. «Si vuol far passare l’idea della buona vecchia naia che, anche se talvolta crudele, è scuola di vita - conclude Pilati - A parte che ho letto critiche di militari che sostengono che quella del reality non è la vera vita militare, dal mio punto di vista il problema sta nel fatto che si cerca di svecchiare l’immagine militare per renderla appetibile al pubblico di giovani». C’è dunque un fine politico in quella che dovrebbe essere una trasmissione di svago? «Forse non è un caso che il programma si inserisce in un momento in cui è tornato il dibattito sulla possibilità di ripristinare il servizio di leva. Se ne parla non solo a livello nazionale. Mi riferisco in particolare al disegno di legge del consigliere provinciale Giorgio Leonardi a sostegno delle associazioni combattentistiche e d’arma, con il loro inserimento in progetti educativi».