Venezia che affonda, le grandi navi e i canali
La lettera al direttore
Ripristinare le valli per salvare Venezia
Non c’è parola meno azzeccata che definire la situazione di Venezia in questi giorni “coprifuoco”, visto l’assedio inarrestabile dell’acqua! Ho un legame particolare con quella città. Arrivai a Venezia Santa Lucia il 12 novembre 1966 l’anno dell’alluvione di Firenze e del Basso Polesine. Rimasi esterrefatto nel vedere l’acqua a ridosso della prima scalinata prospiciente la Stazione Ferroviaria, ben oltre la delimitazione del Canal Grande. Sono rimasto in città alle Zattere e poi in Campo San Polo fino al mese di dicembre 1971. Ho vissuto assieme ai Veneziani ogni tipo di marea e ogni tipo di acqua alta. Erano tempi dove non c’erano le invasioni barbariche dei giorni nostri. Erano tempi dove era facile trovarsi a giocare a carte con Sciltian e Guidi, alla punta della Salute e molti mesi dell’anno Venezia era solo dei residenti. Non c’era nemmeno il Carnevale ma il calore umano era tangibile e magari solo di vista, ci conoscevamo tutti. Allora la nave passeggeri più grande che arrivava in porto era l’Ausonia dell’Adriatica Navigazione, sul fumaiolo il Leone di San Marco, una stazza di 11.900 tonnellate, lunga 159 metri e alta dalla linea di galleggiamento meno di venti metri. Non arrivava neanche in Marittima, attraccava alle Zattere. Le navi passeggeri della Jugolinija e quelle dell’Unione Sovietica, con falce e martello sul fumaiolo, attraccavano a Riva Sette Martiri. Adesso ci sono navi da 130.000 tonnellate (dieci volte più grandi dell’Ausonia), lunghe 290 metri ed alte più di 60, che passano incombenti sulla città più fragile del mondo, sfiorando Riva Sette Martiri, a volte scarrocciando e urtando paurosamente verso le fondamenta, spanciando sul fondo del canale della Giudecca per arrivare in Marittima, al Tronchetto. I canali, in larghezza hanno le stesse dimensioni di prima, le fondamenta sono sempre le stesse, ma per permettere il passaggio di certe navi che cosa può essere successo? Sicuramente avranno dragato i canali per adeguarli al pescaggio di questi giganti del mare. Bene, anzi male. Dragare a profondità importante i canali di Venezia sicuramente ha effetti collaterali per una citta che ha le sue fondamenta su palafitte. Più si scava e più le fondamenta rischiano di indebolirsi. Permettere a questi giganti del mare di entrare a Venezia è una scelta che non condivido. Mi auguro che, dopo averne sentito parlare per decenni, qualcuno abbia il coraggio di affrontare la questione per risolverla.
Perché non attrezzare l’Isola del Lido per far attraccare questi giganti del mare? Si eviterebbe di dragare in profondità tutta la via d’acqua dal Lido al Tronchetto.
Ma a prescindere da ciò cosa sta succedendo a Venezia che, ogni anno, viene invasa da maree sempre più consistenti? Adesso tutti parlano del riscaldamento globale, dell’aumento del livello dei mari, del costante sprofondamento della città….. Qualche solone imputa la colpa di questo disastro a chi con le inchieste sul Mose ha fatto ritardare la realizzazione dell’opera. In effetti tutte le ipotesi hanno concorso allo stato attuale e se poi si aggiunge lo scirocco il problema monta. Non imputerei però colpe a chi ha fatto le indagini sul malaffare, ma a chi il malaffare lo ha gestito con mazzette e tangenti, sembra ormai accertate definitivamente. Il mio disprezzo a coloro che agiscono per il proprio tornaconto danneggiando la collettività. Penso che non sia il caso di parlare di quel progetto che pare negli anni 70 gli Olandesi non abbiano voluto realizzare perché ritenuto tecnicamente non valido. Non penso neanche che sia il caso di parlare di quei problemi che, a detta dei media, creano impedimento al funzionamento delle paratie, vuoi per la salinità dell’acqua e conseguente ossidazione, vuoi per l’insabbiamento dei meccanismi. Però il problema di Venezia con l’acqua sempre più alta ha per me anche un’altra motivazione che non ho quasi mai sentito trattare da nessuno e proverò a spiegare. Già dal momento della sua fondazione, nel 400 dopo Cristo, Venezia ha dovuto trovare un equilibrio tra terra e mare ed una modalità difensiva dalle invasioni di popolazioni ostili e contestualmente ha dovuto trovare le maniere per mitigare il moto delle maree, ovviamente inarrestabili. Le tante e complesse valli intercalate con alcune isole erano e sono state per millenni i vasi di compensazione e di contenimento delle maree a difesa della città. Il nucleo centrale di Venezia, grazie a barene naturali e ad altre barriere costruite nell’arco dei secoli è sempre stato tutelato dall’azione diretta delle maree che, prima di arrivare al centro città, trovavano il loro sfogo andando a riempire le valli lagunari che ampiamente circondano la Serenissima. Le valli, questi spazi di acqua salata e salmastra usati da sempre per l’itticoltura, nel corso dei secoli ma soprattutto nei tempi più recenti, sono state in parte interrate dall’uomo, in parte da insabbiamento naturale e quasi mai sono state dragate per mantenerne il proprio ruolo di vasi di compensazione. Non ho dati certi che possano dimostrare quanto siano state ridotte le zone lagunari e le valli di pesca ma penso che ci siano cartografie che possano dimostrare come tante valli siano diventate insediamenti antropici con costruzioni di immobili di ogni genere. Tutta l’acqua dell’alta marea che prima andava a riversarsi nelle valli, adesso, anche a causa dragaggio eccessivo dei canali, corre veloce verso Venezia provocando quello che è sotto gli occhi di tutti.
Il ripristino delle valli per ricondurle alla loro primitiva utilità sarebbe una delle grandi opere da realizzare per cercar di difendere un gioiello di città che tutto il mondo ci invidia tutelando anche l’ecosistema. Ma hanno mai messo in conto quali effetti negativi potrebbe avere l’impedimento del ricambio d’acqua in laguna che solo le maree sono in grado di fare? La Serenissima deve essere aiutata, nell’interesse di tutti, anche di coloro che del Mose ne hanno fatto una “Cosa loro”.
Luigi Francesco Traverso
Venezia è proprio di tutti
Non amo le lettere così lunghe, che di solito taglio o tengo sulla scrivania, perché risultano oggettivamente pesanti, ma questo suo intervento l’ho letto d’un fiato. C’è un grumo di nostalgia, quasi di poesia, di razionalità, di disincanto, di indignazione, ma anche di speranza. Perché Venezia ha superato questo ed altro. Però bisogna amarla e proteggerla, Venezia. Non saccheggiarla, non violentarla, non piegarla ai propri interessi. Uno dei simboli di Venezia è la Fenice, intesa come teatro. E la fenice, intesa come grossa, magnifica e venerata aquila, è quella invece favolosa e sacra che risorge dalle proprie ceneri. Un’immagine perfetta per chi riesce sempre a rinascere. Certo, con l’indispensabile aiuto di tutti. Perché Venezia è di tutti.
a.faustini@ladige.it