Ripeto: la scuola non può fermarsi ai soli voti

La lettera al Direttore

Ripeto: la scuola non può fermarsi ai soli voti

Gentile signore, nel ‘68 facevo la prima comunione. Dovrei citare molte auctoritas che ci hanno fatto capire come la motivazione sia importante per l’apprendimento, rispetto alla pura costrizione, a cominciare dal grande Vittorino da Feltre che scelse per la sua scuola il nome di Ca’ Gioiosa.
E dovrei argomentare su numerose teorie pedagogiche, ma non è il contesto per farlo. In grande sintesi bisogna studiare certamente, ma quello che si studia deve essere capito, elaborato, connesso, utilizzato sia intellettualmente sia praticamente. Il voto è importante, e non ho mai sostenuto che vadano aboliti i voti. Anche se nel voto ci sono due componenti da individuare: l’indicazione funzionale all’allievo di come il suo lavoro sia stato proficuo (valutazione formativa) , e la pesatura della sua prestazione rispetto agli obiettivi prefissati su una scala oggettiva (valutazione sommativa). Con i bambini più piccoli prevale il mio scopo, difatti si preferiscono i giudizi ai voti. Man mano che si cresce il secondo aspetto si rafforza.
Abbiamo assegnato voti ai nostri ragazzi nell’esame di maturità, alcuni molto gratificanti, altri molto meno. Ma la semplice remunerazione del voto non basta, come dato di fatto, posto che per chi prosegue gli studi la valenza del voto di maturità è oggettivamente non valorizzato nel percorso successivo. Ma la scuola deve costruire cultura, che resti, anche quando i voti saranno dimenticati. Ognuno ricorda meglio le cose che hanno suscitato un coinvolgimento, che hanno mobilitato i suoi interessi piuttosto che quelle che ha vissuto con noia. Quando si studia solo per il voto si tende a studiare in modo meno intelligente che quando si studia cercando di capire. E capire significa anche rimettere in gioco l’appreso. La curiosità e la voglia di imparare sono la molla fondamentale.
Quanto al colloquio dell’esame di maturità io l’ho trovato molto impegnativo per i ragazzi. Hanno tenuto una piccola conferenza affidata alla loro capacità di tessere la trama del discorso, a partire da uno spunto offerto dalla commissione. Non credo sia stato un esame inutile. Anche se per molti insegnanti, abituati alla interrogazione, agita da loro, sulle specifiche nozioni, il tipo di prova era inconsueto, a me pare che anche le conoscenze acquisite siano emerse e che una ampia differenziazione fra i livelli di preparazione sia stata verificata.

Maria Prodi - Docente al liceo Prati di Trento

Dimostrare, non contestare

Grazie per aver preso carta e penna per rispondere ad un lettore che, come mi ero già permesso di scrivere, aveva commesso un errore grave (e non solo perché lei era davvero troppo giovane nel 1968) e aveva davvero troppo semplificato. Non posso che ribadire - a maggior ragione in questa pagina che è una palestra di libero pensiero - che si può sempre non essere d’accordo con un punto di vista, ma che c’è un unico modo per dimostrarlo: offrire uno sguardo diverso. Spesso si preferisce invece contestare - senza magari nemmeno sapere bene con chi si ha che fare - chi ha espresso un pensiero diverso dal nostro. Una cosa sono le idee e altra cosa sono le persone. Le seconde vanno sempre rispettate.
Le prime si possono invece confutare. Poi, mi accorgo che da sempre tendiamo un po’ tutti a parlare molto e ad ascoltare poco. Ed è un problema più serio di quanto si possa immaginare, per una società che ha bisogno di quotidiano confronto. Riscopriamo il valore dell’ascolto, della metabolizzazione di ciò che sentiamo o ascoltiamo. Anche quando appunto la pensiamo in modo diverso.

lettere@ladige.it

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