Anziani nelle Rsa: servono nuove soluzioni
Un lettore ci scrive sul problema delle visite vietate agli anziani in casa di riposo: la risposta del Direttore.
Anziani nelle Rsa: servono nuove soluzioni
Sono uno dei tanti parenti che ha vissuto e vive la chiusura delle Residenze sanitarie assistenziali (oggi Apsp) causa Covid-19 con crescente dolore nei confronti dei nostri cari che risultano negativi al coronavirus ma reclusi nelle strutture. In particolare, faccio riferimento alla Rsa di Predazzo dove, fatta eccezione per un breve intervallo per una visita settimanale di 30 minuti, la chiusura totale si protrae da circa 190 giorni.
Ad oggi viene spontaneo chiedersi: la segregazione prolungata degli ospiti è davvero l’unica strada da seguire in questa emergenza? L’uso delle mascherine, la distanza interpersonale, l’igiene delle mani e le varie precauzioni atte ad evitare possibili contagi e ampiamente sostenute dalla comunità scientifica sono forse inefficaci all’interno delle Rsa? Al presentarsi di un contagio si ipotizza di chiudere l’intera struttura invece del solo reparto interessato (fermo restando che i reparti siano totalmente isolati tra loro, come sostiene la Direzione). Sorge quindi spontaneo domandarsi se vi siano modalità di propagazione virale differenti rispetto alle strutture ospedaliere provinciali. In aggiunta, come è possibile che se un ospite di una Rsa viene ricoverato in ospedale può ricevere visite quotidiane in totale sicurezza mentre nella struttura dove abitualmente risiede non gli viene concesso?
Alla luce di questi interrogativi i dubbi sulle scelte degli organi dirigenziali non tardano ad arrivare, alimentati dalle presunte inchieste in corso riguardo i drammi sanitari della scorsa primavera. Si è coscienti che il rischio zero non esiste, tuttavia è evidente che non possiamo far trascorrere i prossimi mesi, che per alcuni potrebbero essere gli ultimi, in totale isolamento. Sono persone che con il lavoro di una vita hanno contribuito a costruire il nostro territorio e portare avanti le nostre tradizioni. Gli ospiti delle case di riposo rappresentano la parte più debole della società, il loro continuo contributo è venuto a mancare ed ora, che non hanno più né forze né voce per far valere i propri diritti, dobbiamo essere noi a garantire loro la dignità come membri della nostra comunità sia adottando tutte le misure precauzionali e di continua sanificazione ambientale sia offrendo loro la possibilità di ricevere l’affetto, la presenza e il sostegno dei propri cari. Sono necessarie strategie concrete, urgenti e non più rinviabili.
Marco Gabrielli
Noto un'assenza di strategia e idee
Ha ragione caro Marco: siamo di fronte alla parte più debole della società. Parlerei non solo di nuove fragilità, ma anche di nuove forme di emarginazione. La dignità degli anziani è davvero nelle mani di ognuno di noi. Il tema, come ben lei sa e come evidenzia in fondo anche in questa sua lettera, è delicatissimo: perché sembra quasi di dove scegliere fra il rischio (del contagio, se solo si dovessero allargare le maglie) e il rischio (di lasciare soli gli anziani, di non sorreggerli nemmeno con quella presenza, con quella vicinanza e con quelle piccole attenzioni che rendono la vita ancora degna d’essere vissuta). Sì, due rischi: l’uno accanto all’altro. Sono sincero: capisco chi ha paura, chi preferisce chiudere, chi, soprattutto, non vuole assumersi responsabilità. Ma si nota effettivamente un’assenza di strategia e le strategie servono anche a superare situazioni complicate come quelle che stiamo vivendo, cercando in tutti i modi una soluzione che permetta a tutti noi di stare vicino a chi ci è caro. In sicurezza. Ma la lontananza, alla lunga, crea solo insicurezza: una voragine di nostalgia e di malinconia che va colmata con affetto e soluzioni.
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