Il 60% dei primati rischia l'estinzione
È stato pubblicato sulla rivista Science Advances un articolo che porta la firma di 31 esperti di fama internazionale, tra cui Claudia Barelli e Francesco Rovero del Muse di Trento, e che invita urgentemente a un'azione di tutela delle popolazioni mondiali di primati, in forte diminuzione. Dati sempre più allarmanti, infatti, riferiscono che il 60% delle oltre 500 specie conosciute oggi nel mondo sono a rischio di estinzione e che il 75% presenta inoltre un numero di popolazioni in forte riduzione.
Tramite questo studio gli autori si appellano a funzionari governativi, ricercatori, organizzazioni internazionali, Ong, imprese e alla cittadinanza per mobilitare e sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo alla situazione dei primati in tutto il mondo, ponendo l'accento sui costi della loro perdita per la salute dell'ecosistema, la cultura umana e la sopravvivenza stessa dell'uomo.
I primati non umani (lemuri, lorisidi, galagoni, tarsi, piccole e grandi scimmie) sono i nostri «parenti» più stretti, quelli a noi più vicini geneticamente, in grado di offrire, spiega lo studio, spunti fondamentali per interpretare la nostra evoluzione, biologia, comportamento, ma anche il rischio sempre più consistente dell'aumento di nuove patologie in ambito sanitario. I primati sono, inoltre, una componente importantissima per la tutela della diversità biologica tropicale, contribuendo alla rigenerazione forestale e alla salute degli ecosistemi. Rivestono inoltre un ruolo importante in ambito sociale, basti pensare che trovano collocazione nella cultura e nella religione di molte etnie, così come fanno parte del loro sostentamento alimentare.
«La perdita di biodiversità - afferma Claudia Barelli, primatologa e ricercatrice del Muse - è preoccupante a vari livelli. In primo luogo per la riduzione drastica del numero di individui. In secondo luogo, per lo stato di salute degli stessi, che risulta in parte compromesso, a causa dello sfruttamento non sostenibile delle risorse naturali da parte dell'uomo, che ha ripercussioni sulla loro dieta e quindi incide sul loro stato fisico. Pertanto, le popolazioni che vivono in habitat degradati - come alcune delle foreste nei Monti Udzungwa in Tanzania dove il Muse lavora da più di dieci anni - mettono a rischio la loro salute e quella di altri esseri viventi».
Questa situazione, viene evidenziato nello studio, è il risultato dell'intenso impatto antropico e dello svolgimento di attività non sostenibili per l'ambiente e chi lo popola. Esempi lampanti sono la perdita di foresta primaria, che avviene in risposta alle richieste del mercato globale, l'espansione delle agricolture industriali, degli allevamenti intensivi di bestiame, del taglio degli alberi, delle trivellazioni petrolifere, delle estrazioni, delle costruzioni di dighe e reti di nuove strade. Tutto ciò avviene proprio nei Paesi dove vive la grande maggioranza dei primati.