Scozia, l’avventura in slackline diventa un «corto» - Video
Quattro giorni, cinque amici, centodieci metri di fettuccia a una trentina di metri dal suolo. E poi centinaia di foto scattate e qualche ora di video, per arrivare, alle 6.30 del mattino, a impresa realizzata, a brindare con una birra ghiacciata urlando «slàinte», il cin cin gaelico.
L’avventura scozzese non aveva un obiettivo ben preciso, o gli sponsor alle spalle: semplicemente dei ragazzi, alcuni atleti, altri esperti di foto e video, che avevano voglia di stare insieme e realizzare qualcosa di mai fatto prima, in uno scenario affascinante, divertendosi e restando in armonia.
«Per staccare un attimo dalla quotidianità, per fare qualcosa di bello, tutti insieme», sorridono.
Loro sono Benjamin Kofler e Mattia Felicetti, i due atleti ed esperti di slackline, Thomas Monsorso, fotografo e ideatore della spedizione, Matteo Pavana, fotografo e videomaker, e Stefano Borgogno, tuttofare che ha dato una mano in ogni aspetto della spedizione.
Tutti tra i 27 e i 32 anni, tre trentini e due altoatesini, tutti amanti della montagna.
«Siamo partiti letteralmente all’avventura - raccontano - prenotando solo un volo da Bergamo a Edinburgo e poi affittando lì una macchina per andare nell’estremo nord della Scozia, nella parte nord-orientale dell’isola di Skye. Abbiamo raggiunto la montagna chiamata The Storr e in particolare l’Old Man of Storr, il vecchietto di Storr, un monolito di 55 metri, formatosi grazie all’erosione basaltica, e provare a realizzare questa passeggiata sulla slackline, in realtà una highline, con foto e riprese a testimoniare il tutto».
Camminare in equilibrio su una fettuccia larga due centimetri, sospesi nel vuoto, negli ultimi anni è diventata un’attività sportiva molto di moda, nata nell’ambiente degli arrampicatori.
Si tratta di una disciplina che richiede una lunga fase di preparazione e poi tanta concentrazione: basta un colpo di vento, un piede messo male, un attimo di distrazione e si cade. Ovviamente imbragature e corde di sicurezza salvano gli atleti dal volo, ma poi bisogna ricominciare da capo.
«Una volta giunti lassù iniziava il bello. Prima di tutto non sapevamo se si poteva fare o no e quindi dai giorni di programmazione a tutto il viaggio siamo rimasti nell’incertezza. E poi il tempo, perché con pioggia e vento, tra l’altro piuttosto frequenti nell’isola di Skye, la highline non si può fare. Ma eravamo motivati e, grazie a un pizzico di fortuna per quanto riguarda il meteo, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo dormito in tenda sotto il cielo stellato scozzese, mangiato panini e fish and chips, e lavorato gomito a gomito perché l’obiettivo diventasse realtà».
Come accennato, tutto questo senza una finalità ben precisa, ma solo per il gusto di provarci e di riuscirci, stando insieme ad amici e persone con le quali si condividono le stesse passioni, ovvero l’avventura e lo sport, lo stare all’aria aperta e il mettersi in gioco, il cercare l’inquadratura e la ripresa perfetta in un contesto naturale fantastico.
«Come è nata l’idea? È stato merito di Thomas: grazie a Instagram, seguendo determinate persone o pagine che condividono una stessa passione, non è difficile imbattersi in fotografie di luoghi strepitosi e magari non troppo conosciuti. Così lui ha visto l’Old Man e ha iniziato a ragionarci. Ha scritto a Benny (Benjamin ndr) e poi tramite un rapido giro di messaggi e telefonate abbiamo formato la squadra. Nessuno aveva mai realizzato una slackline in quel posto, e ci pareva piuttosto strano perché ormai ne sono state fatte un po’ ovunque nel mondo. Così abbiamo deciso di essere noi i primi a provare e abbiamo organizzato un rapido viaggio in Scozia, una toccata e fuga di quattro giorni: due di viaggio, uno per montare l’attrezzatura e uno per la passeggiata con riprese e foto».
All’arrivo, dopo le cinque ore di macchina e la passeggiata per raggiungere il punto esatto dell’isola, ci sono due notizie, al solito una bella e una brutta: la bella è che non esistono divieti o controlli particolari e l’impresa si può fare. La brutta è che il cielo non pare essere d’accordo con i cinque giovani.
«Fissare la fettuccia non è stato facile: pioveva e c’era vento, ci siamo presi una doccia imprevista. Però alla fine ci siamo riusciti: una rapida e facile scalata sul primo pilastro di roccia e poi su quello di fronte, tendendo la corda per circa 110 metri. Eravamo divisi in due piccole squadre, in sostanza gli uni di fronte agli altri, ma comunicavamo con delle radioline per fissare bene e alla giusta altezza. Il vecchietto di Storr è alto 55 metri, ma noi abbiamo fissato la fettuccia leggermente più in basso, a una trentina di metri dal suolo. L’ultimo giorno il tempo ci ha aiutati e Benjamin è riuscito a completare la camminata, andata e ritorno, mentre gli altri facevano foto e video. E anche Mattia è salito a fare qualche acrobazia. È stato bello perché quando Benny ce l’ha fatta anche un gruppo di turisti che era in zona è scoppiato in un applauso».
Durante, ma soprattutto dopo, l’impresa riuscita si è passati alla parte estetica: foto e video, da diverse angolature e a diversi orari. Così il gruppo ha scattato e registrato fino a tarda sera e poi sveglia all’alba per avere una luce diversa. Materiale che poi diventerà un breve video, probabilmente un corto di un paio di minuti, e un ricco album fotografico, da far girare su siti e riviste specializzate, per fare dire a tutti «Ah, ce l’hanno fatta anche sull’Old Man of Storr».
Quell’avventura è diventata un «corto» firmato da Matteo Pavana, emozionante e tutto da vedere:
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