Sulle Dolomiti nasce il "Sentiero del respiro": fra storia, salute e natura attorno al castello di Andraz
L'iniziativa sul versante bellunese del Pordoi, nell'area ladina dell'Agordino, contempla anche un intervento di rimboschimento dopo le devastazioni causate nel 2018 dalla tempesta Vaia. Nel suggestivo maniero, costruito attorno all'anno Mille, c'è anche un museo dedicato soprattutto alle attività storiche inerenti l’estrazione del ferro, il trasporto, la fusione controllate dal principe vescovo di Bressanone
LIVINALLONGO (Belluno). È stato inaugurato, a Livinallongo del Col di Lana (Belluno), "Il sentiero del respiro", un percorso naturalistico-educazionale che si estende per una lunghezza di tre chilometri ed è affiancato da un'operazione di rimboschimento di 10 mila alberi nell'area che circonda il Castello di Andraz.
Siamo dunque sul versante bellunese del Pordoi, non lontano da Arabba e dal confine con Trento e Bolzano.
L'opera, nata dalla collaborazione tra Chiesi Italia e la Regione Veneto, è realizzata dalla Forestale del Veneto insieme all'agenzia regionale Veneto Agricoltura e al Comune di Livinallongo del Col di Lana per valorizzare, sotto il profilo turistico-ricettivo, il territorio colpito, nell'ottobre 2018, dalla tempesta Vaia.
In quest'area, fra le più colpite dalla tempesta che ha abbattuto molti alberi, sono state anche messe a dimora le prime cento piante di pino cembro che accompagneranno l'intero percorso.
I primi 400 metri del sentiero saranno fruibili dai non vedenti e i non deambulanti. Per il resto del cammino la segnaletica sarà ben visibile e accessibile anche da smartphone tramite QR Code.
Presenti anche cartelli informativi per sensibilizzare le persone sulle tematiche ambientali e della salute con diversi stimoli interattivi. Il sentiero avrà anche un carattere particolarmente inclusivo: i primi 400 metri saranno pavimentati in legno e dedicati agli ipovedenti e non deambulanti che potranno raggiungere un’area attrezzata dedicata posizionata a fianco di un ruscello.
Nel castello c'è anche un museo, pensato per "promuovere la conoscenza del formidabile monumento e dell’ambito dolomitico circostante come espressione del locale patrimonio culturale legato all’area ladina dell’Alto Agordino, con riferimento alle attività inerenti l’estrazione del ferro, il trasporto, la fusione e le attività connesse controllate dal Principe Vescovo di Bressanone.
In particolare il Museo illustra le vicende storiche di Andraz con richiamo alle trasformazioni subite dal castello e dal territorio circostante, determinate dagli interessi vescovili nell’area compresa tra le miniere del Fursil a Colle Santa Lucia in Val Fiorentina, sino a Valparola in Alta Val Badia, dove erano ubicati i forni fusori.
Tale impostazione ha permesso di contestualizzare le vicende del castello collegando il racconto al territorio.
Il castello è infatti situato nel mezzo di uno straordinario percorso storico, che unisce di fatto le due più importanti realtà culturali presenti nell’area dolomitica costituite dal Museo “Vittorino Cazzetta” (geologico-paleontologico e archeologico) di Selva di Cadore e dal Museo Ladino della Provincia di Bolzano a San Martino in Badia.
"Il Castello di Andraz sorge - come si legge sul sito dedicato al maniero e al museo che ospita - su un grande trovante trasportato a valle durante l’ultima glaciazione, in posizione dominante sulla vallata. Si tratta di un luogo strategico per il controllo delle vie provenienti da sud (Belluno, Agordo, Caprile), da nord (Bressanone e Castelbadia, San Martino in Badia, Valparola), da Ampezzo attraverso la sella di Falzarego.
Da tale posizione era possibile traguardare la Rocca di Pietore a sua volta collegata visivamente ad altre fortificazioni (Solator a Selva di Cadore, Avoscan, ecc.) che permettevano il totale controllo delle strada che salendo da Agordo attraversava l’area dolomitica per giungere in Pusteria. Il sottostante Rio Castello costituiva presumibilmente il primitivo confine del Patriarcato di Aquileia e quindi dell’area veneto-cadorina rispetto all’area tirolese.
I primi cenni storici sono successivi al 1000; nel 1221 si sa che appartenne alla famiglia Schoneck (Colbello) che lo ottenne in feudo dal Vescovo di Bressanone. Rimase sino al XV sec. proprietà di vassalli alle dipendenze dei “Vescovi-Conti”. Il Vescovado di Bressanone se ne impossessò completamente nel 1416. Da allora, sino alla secolarizzazione imposta dal trattato di Parigi del 1802, il castello rimase di proprietà del Vescovo che lo utilizzò come sede di piccole guarnigioni militari poste sotto il comando di un capitano.
Nicolò Cusano fu senz’altro l’ospite più illustre di Andraz, in qualità di Vescovo di Bressanone prescelse la rocca, a garanzia della propria incolumità per lunghi periodi di soggiorno tra il 1457 e il 1460.
Certamente il castello fu in età medievale un importante baluardo strategico militare che in condizioni normali ospitava al proprio interno un numero variabile a circa dieci, quindici persone tra servi e soldati, ma impiegando annessi e pertinenze poteva offrire ricovero a guarnigioni ben più numerose.
Soprattutto dal ‘400 fu utilizzato per garantire gli interessi economici del Vescovo messi in pericolo dalla politica espansionistica di Venezia alla ricerca di nuovi sbocchi nell’entroterra veneto; la zona dolomitica risultava infatti di grande rilevanza per la presenza di materie prime essenziali quali il legno e il ferro necessarie sia alla flotta che all’attività edilizia della Serenissima. In particolare nell’Alto Agordino era situato l’importante giacimento di ferro acciaioso del “Fursil”, nei pressi di Colle Santa Lucia, in un’area contesa alle popolazioni cadorine, che dal 1177 (editto di Federico I di Svevia Barbarossa) era stata accorpata ai territori vescovili della giurisdizione di Andraz.
Il castello possiede una struttura straordinaria concepita in funzione dello sperone roccioso su cui giace. Si presume che tale caratteristica possa essere stata voluta da Corrado Stuck successivamente al 1350, anno in cui Guadagnino da Avoscan, signore del castello, fu costretto alla fuga perché alleatosi con i Veneziani. Lo schema distributivo interno è caratterizzato da piani sovrapposti che sfruttano l’inclinazione e la forma del masso, collegati da un solo corpo scala centrale. L’unico accesso allo rocca era garantito da una scala esterna in legno che poteva essere isolata attraverso un levatoio. I rifornimenti avvenivano invece con l’uso di un argano. La cinta muraria merlata posta alla base del castello serviva a garantire un limitato avvicinamento del nemico e permetteva di fruire di uno spazio di servizio interno protetto. Originariamente l’ingresso al cortile doveva essere a valle, sul lato meridionale angolo sud-est, in relazione al più antico e importante percorso che ancora oggi sale da Cernadoi e che permetteva il trasporto del minerale di ferro ai forni fusori del castello (“strada de la vena”).
Del primitivo castello si sa molto poco: aveva certamente una base muraria in pietrame (ritrovata parzialmente durante gli scavi archeologici) ed era di dimensioni più contenute rispetto all’attuale, infatti non si estendeva su tutta la superficie del blocco di roccia; possedeva presumibilmente una struttura interna in legno ed era dotato di una protezione muraria a valle sotto il masso. Questa costituiva una primitiva “galleria” con sezione a forma di “A”, poi rimasta a presidio della rocca nelle ristrutturazioni successive, anche se con funzioni diverse.
Da lì originariamente si accedeva al cortile interno situato ad una quota molto più bassa rispetto all’attuale, nell’ambito protetto da mura di una struttura difensiva piuttosto rozza, ricavata tra i trovanti che contornano a nord il masso principale su cui era costruita la rocca.
Il posto è quello dove è stato rinvenuto un primordiale forno fusorio per il ferro, di epoca successiva al 1178. La “galleria” è inoltre il luogo che presumibilmente ha dato origine al toponimo con cui ancora oggi conosciamo il castello. Andraz significherebbe infatti: cavità, antro.
La ricostruzione storico architettonica di questo spazio fa intendere un luogo primitivo dove l’uomo trovava rifugio perché protetto dalle rocce aggettanti e da un particolare ambiente naturale. Si può leggere qui una lenta, interessantissima evoluzione del processo di antropizzazione del territorio iniziato con i cacciatori mesolitici che ad Andraz stazionavano, successivamente proseguito con la formazione della prima fortificazione fra i sassi dominata da una piccola rocca, continuato ancora con l’elevazione trecentesca del castello, i cui resti, più volte rimaneggiati nel corso della storia, noi ben conosciamo e ammiriamo.
In questo caso si tratta inoltre di un capolavoro assoluto di architettura medievale in cui l’uomo, attraverso una straordinaria elaborazione tecnica e culturale dei processi costruttivi, produce la nuova opera con un radicamento totale all’ambiente naturale e ai saperi che da questo derivavano.
Solo uomini ancora completamente partecipi della natura possono infatti aver concepito la particolare architettura trecentesca del castello, realizzata sfruttando totalmente il sedime naturale e in perfetta simbiosi con lo stesso. Il castello trecentesco, molto diverso dal precedente, tuttavia conservava alcuni elementi della primitiva struttura e in particolare l’accesso che doveva avvenire da valle, in corrispondenza della “galleria”, sul lato sud, verso l’angolo sud-est del cortile. Nel 1484, quando i Maestri Comacini intervennero per ricostruirlo dopo un disastroso incendio, le quote dei cortili vennero livellate con il materiale dei crolli rialzando tutta l’area di circa tre, quattro metri. Fu allora che l’ingresso venne spostato ad ovest rendendo il tutto più scenografico e monumentale mentre nella vecchia torre con arcere posta a nord-ovest trovava spazio l’abside di una piccola chiesa il cui altare seicentesco in legno dorato, di grande pregio, è ora collocato presso la chiesa del vicino abitato di Andraz.
resizedimage300293-AndrazMuIl vecchio ingresso denominato Porta di San Raffaele venne chiuso costruendo al suo posto una torre angolare, priva però di reali funzioni difensive.
La ristrutturazione ebbe luogo tra il 1484 e il 1488; fu opera dei Maestri Comacini Jacomo, Antonio e Pedro, che ricomposero il castello quasi completamente in muratura con solide volte in pietrame legate a calce secondo un preciso capitolato dei lavori concordato con il Vescovo. Rispetto al precedente edificio venne certamente sostituito l’organismo delle scale, con adattamenti al distributivo interno e all’accesso, in questo caso spostato come posizione e come quota, sia nella rocca che nel cortile, ma soprattutto furono sostituiti i solai in legno dei vari piani presenti nella precedente struttura trecentesca.
Altri lavori furono necessari conseguentemente ad un incendio che colpì Andraz nel 1516. Sono inoltre comprovati ulteriori interventi riguardanti la scala di accesso, originariamente non protetta dalle intemperie. Tali opere ben documentate e concluse nel 1599 dal Capitano di Chiusole hanno compreso varie migliorie necessarie per l’utilizzo ormai prevalentemente residenziale della rocca, infatti, cambiate le originarie strategie militari, il castello era comunque un efficace presidio utilizzabile per funzioni amministrative.
Gli ultimi lavori importanti risalgono al XVIII sec. ad opera del Capitano Georg Felix von Mayrhofer. Di tale fase sono molto evidenti le intonacature eseguite con rasatura di calce ad imitazione del marmorino veneziano.
Dopo le guerre napoleoniche il castello non possedeva più alcuna rilevanza strategica in conseguenza, sia delle mutate condizioni politiche e militari, sia dell’esaurimento dell’attività estrattiva, conclusasi nel 1755. Il castello fu quindi venduto a privati che lo spogliarono del tetto, nonché degli arredi e delle suppellettili nel corso del 1851. Durante il conflitto del 1915-18 fu bombardato dalle postazioni austriache del soprastante Col di Lana quando la zona fu teatro di uno dei fronti di combattimento più cruenti di tutta la prima guerra mondiale.
La sacralità del luogo, la concorrenza di più culture, la bellezza del paesaggio e la straordinaria conservazione del’ambiente naturale ne fanno uno dei simboli di maggior fascino dell’area alpina orientale: una sintesi di ciò che ha portato al riconoscimento dell’UNESCO delle Dolomiti quale Patrimonio dell’Umanità".
[foto dal sito Sentiero del respiro]