L’intervista / Estate

Dall’alto del Damiano Chiesa, Eleonora Orlandi parla di rifugi, di clienti, di servizi e di prezzi

Figlia d’arte, a 32 anni sta portando avanti l’ottava stagione sull’Altissimo: «Qui non arrivano né acqua né corrente. La gente dovrebbe ricordarselo quando si lamenta, non siamo un ristorante, ma un presìdio»

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di Laura Modena

BRENTONICO. Uno splendido panorama a 360 gradi che comprende il Brenta, con l'Adamello e la Presanella, le montagne dell'Alto Garda e della Val di Ledro, lo Stivo, le Piccole Dolomiti, il Pasubio e il gruppo del Carega fino alla pianura Padana e tutta la catena del Baldo. Da qui si scorge il lago di Garda fino a Sirmione e, dopo i temporali, nell'apertura tra il Pasubio e il Carega si intravede anche la baia di Venezia.

Siamo a 2.060 metri sull'Altissimo, al rifugio gestito per l'ottava stagione consecutiva da Eleonora Orlandi, 32 anni, che al "Damiano Chiesa" è praticamente nata. Professionalmente, visto che i genitori - Nora Rigotti e il celebre alpinista Elio Orlandi - hanno avuto in gestione il rifugio dal 1982 al 2000, e letteralmente, dato che in quota è rimasta per ogni estate dalla nascita agli otto anni.

Nella parentesi di mezzo, dal 2000 al 2017, il rifugio è stato affidato al noto alpinista Danny Zampiccoli, ora alla guida del Lausen sui monti Lessini.

Che tipo di formazione ha alle spalle?

«Mi sono diplomata al liceo scientifico per le professioni del turismo di montagna a Tione, sono maestra di snowboard, accompagnatore di territorio e istruttore di nordic walking. Ma sono praticamente nata e cresciuta in montagna, mio padre a quattro anni mi portava con sé nello zaino in tutte le sue escursioni. La mia idea di rifugio me la sono creata così, e coincide con il senso di alpinismo e di montagna che ho conosciuto seguendo lui».

Come lo descriverebbe?

«Essenziale, semplice, di cuore. L'insegnamento che ho ricevuto è di non abbattersi mai, non per forza si deve sempre arrivare all'obiettivo. La testa e la forza che ci devi mettere va oltre ogni tipo di record, perché non è la competizione che conta, né il "grado" o aprire una nuova via. Conta mettere tutto te stesso e adorare ciò che stai facendo, altrimenti non ha senso. E così io gestisco il "Damiano Chiesa", cerco di puntare sulla qualità delle materie prime per i piatti che propongo e faccio del mio meglio per mandare avanti il rifugio. Ma è molto difficile perché la struttura è complessa, qui non arrivano acqua e elettricità».

Come vi rifornite?

«Abbiamo due cisterne di raccolta dell'acqua piovana ma a volte non bastano e i pannelli fotovoltaici non riescono sempre ad alimentare gli apparecchi elettrici della cucina. E quando abbiamo molti ospiti diventa tutto più complicato».

Cosa pensa delle polemiche sui prezzi applicati dai rifugisti?

«Le strutture chiamate rifugi dovrebbero continuare a mantenere la propria identità, che significa sì offrire piatti di qualità, ma non diventare ristoranti stellati o assecondare per forza la clientela. Il rifugio di montagna va oltre la ristorazione, è una cosa ben diversa. Mi è capitato di discutere con un cliente che contestava il prezzo di una fetta di torta di grano saraceno a 5,50 euro. Mi faceva notare che quello era il prezzo adatto a un posto chic e non a un rifugio come il mio. Gli ho spiegato come si cucina qui, quali sono i costi, il problema dell'acqua, ma alla fine gli ho restituito i soldi».

Si tratta di episodi frequenti in quota, come se lo spiega?

«La gente si aspetta servizi a prezzi bassi perché siamo in strutture di montagna e non in posti raffinati. Invece è esattamente il contrario, qui i costi son più alti proprio perché siamo in montagna. Io credo andrebbe fatta un vera e propria ricategorizzazione dei rifugi».

Cosa intende?

«Moltissimi rifugi sono stati ristrutturati, quindi in realtà sono degli chalet che offrono appunto servizi da chalet. Poi però le persone si aspettano questo tipo di trattamento anche nei rifugi veri come il mio, una gran confusione. La ricategorizzazione delle strutture creerebbe maggior chiarezza e consapevolezza, ma dovrebbe essere una scelta della politica».

Che tipo di frequentazione ha il rifugio?

«Abbiamo ospiti di tutti i tipi e anche per questo abbiamo scelto di destagionalizzare, tenendo aperto da metà maggio a metà ottobre e riaprendo poi nei weekend da dicembre in poi. Sul Garda ci sono sempre molti turisti, quindi tenere aperto un presidio alpino garantisce continuità per le persone che possono fermarsi per mangiare o dormire».

Quali sono le attività possibili sull'Altissimo?

«Cerchiamo di offrire all'ospite una vasta gamma di esperienze tra sport, divertimento e cultura. Qui si può fare trekking, bicicletta, parapendio, equitazione, ma siamo anche un punto di osservazione della volta celeste e una zona di studi archeologici, storici, botanici e faunistici. Collaboriamo principalmente con l'Apt della Vallagarina e con l'Apt Garda Trentino».

Perché ha scelto proprio il "Damiano Chiesa"?

«È un rifugio che sento un po' mio, per tante ragioni. Qui metto cuore, energia e sacrifici assieme ai miei collaboratori. E qui porto avanti anche l'attività di volontariato iniziata nel 2015, dopo il mio viaggio in Nepal con l'associazione di Fausto De Stefani (alpinista impegnato nel sociale, ndr). In quel mese ho pensato a lungo ai miei desideri e alle mie potenzialità e quando ho visto Zampiccoli annunciare su Facebook che avrebbe lasciato il "Damiano Chiesa" ho pensato fosse davvero il mio momento».

Nel suo rifugio è ben visibile il suo legame con il Nepal.

«Sì, continuo a raccogliere fondi che poi vengono investiti per l'istruzione dei bambini nepalesi. La sera del 29 agosto avrò ospite De Stefani, vincitore del premio internazionale di Solidarietà alpina Targa d'Argento 2024. Parleremo di montagna e delle molte iniziative che la sua fondazione porta avanti per la popolazione nepalese».

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