Intervista / Quota

Al rifugio Lancia, controcorrente: «Qui mai spritz e patatine. Al massimo un minestrone»

Paolo Bortoloso, alla ventesima stagione, dopo l’esperienza al Papa. Il figlio Luca: «Io sono nati in rifugio. E deve essere esattamente questo: un rifugio, un posto silenzioso e tranquillo»

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di Laura Modena

TRAMBILENO. Un'intera vita da rifugista. Quarantacinque anni sul Pasubio, prima all'"Achille Papa", dalla fine degli anni Settanta ai primi del Duemila, e poi al "Vincenzo Lancia". Paolo Bortoloso, 73 anni, originario della provincia di Vicenza, è per la ventesima stagione consecutiva alla guida della struttura dedicata alla memoria del titolare della nota azienda automobilistica.

«Lancia era amico del roveretano Amedeo Costa, al tempo presidente della Sat di Rovereto e vice presidente del Cai nazionale - racconta Luca, 34 anni, figlio di Bortoloso - . Fu di Costa l'idea di costruire questo rifugio e poi di intitolarlo all'industriale da poco scomparso».

Nel cuore del Pasubio, al limite nord ovest dell'Alpe Pozza, il rifugio progettato dall'architetto Giovanni Tiella fu eretto nel 1939 sui resti di una caserma austroungarica. L'anno successivo fu donato al Cai, in seguito assegnato alla Sat di Rovereto e quindi inaugurato nell'ottobre del 1940.

Collocato a 1825 metri di altitudine, il "Lancia" è circondato da luoghi dove l'escursionista respira ad ogni passo la storia della Grande guerra. Segnato dalla strenua resistenza delle truppe italiane alla "Strafexpedition" del 1916, il Pasubio fu trasformato poi in una fortezza, con nuove strade per mezzi e uomini e profonde gallerie che andarono a comporre la "Strada delle 52 gallerie".

Scegliendo la via che parte da Giazzèra, frazione di Trambileno, e camminando attraverso una faggeta, si giunge al cimitero militare austroungarico al Keserle. Proseguendo, il visitatore viene accolto da un saluto che campeggia da cent'anni su un grande masso, il "Sass scritt" o "Sassóm". "Che tu sia il benvenuto nel regno della Pozza" si legge, un messaggio inciso all'epoca per volere di alcuni soci della Sat e indirizzato ai primi sciatori degli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Raggiunto il rifugio "Lancia", osservando il panorama da est, si può ammirare il Colsanto, la Sella delle Pozze, i Campiluzzi. Si intravvede poi il monte Buso e a seguire il Roite, la Sella delle Corde e il monte Testo.

Con il supporto di uno staff di dieci persone, Bortoloso gestisce il rifugio assieme al figlio Luca. Due generazioni per un'unica visione che si poggia su saldi principi legati alla storia e alla tradizione. «Qui io ci sono cresciuto - spiega il giovane rifugista - , sono in questo posto dall'età di 14 anni. L'idea di rifugio che abbiamo mio padre ed io è per forza diversa da quella di un rifugista che magari inizia l'attività adesso».

Nella sua idea, cosa deve offrire quindi un rifugio?

Un piatto caldo e un posto per dormire. È un luogo dove trovare tranquillità, non dove andare a cercare feste. La nostra idea è sempre stata quella di portare avanti un rifugio classico, tradizionale. Per chi arriva deve essere una casa, un punto di appoggio dove trovare ristoro e riposo. Un posto dove ripararsi dopo una lunga camminata, un rifugio nel vero senso della parola. Per questo noi non ci siamo mai preoccupati di approcciarci alla modernità. Niente spritz o patatine insomma, ma un piatto di minestrone qui ci sarà sempre. In generale evitiamo tutte quelle proposte che per noi non sono da rifugio. Non ci siamo mai adoperati troppo nemmeno sui social, sappiamo che funzionano e forse in futuro ci adegueremo. Ma non rinunceremo mai alla nostra identità.

Che tipo di struttura è il "Lancia"?

A seconda del tempo e delle prenotazioni, apriamo da inizio giugno a fine settembre o inizio ottobre, in inverno dal 26 dicembre all'Epifania. Offriamo 60 posti letto e 150 coperti tra interno e esterno, mentre il bivacco invernale dispone di 4 posti letto. Ci piace mantenere il contatto con il cliente, per esempio evitando i listini di carta e raccontando i nostri piatti a voce.

Quale clientela avete?

Spesso turisti tedeschi che fanno il "Sentiero europeo E5" dal lago di Costanza al mare Adriatico, arrivano qui da Passo Coe e poi proseguono verso Verona. Molti nostri ospiti sono trentini, e negli ultimi anni anche vicentini che hanno ripreso il giro di questa vallata.

In generale, chi frequenta la montagna oggi?

Dal Covid in poi c'è stata un'esplosione di persone che si approccia alla montagna, ma penso ci vorrebbe un po' più di sensibilizzazione su cosa è la montagna e cosa è un rifugio. La Sat di Rovereto e la Sat centrale si danno da fare, ma non basta.

Quali iniziative potrebbero avvicinare i giovani alla montagna?

In generale di giovani che vivono la montagna ce ne sono già. Ma resto dell'idea di non fare feste, dj set o altro, perché anche i ragazzi vengono qui per trovare tranquillità. Piuttosto avvicinerei i giovani alla montagna con gli sport che si possono praticare qui attorno, come escursioni, percorsi in bici, sci alpinismo e ciaspole, o arrampicata con la palestra dietro il Colsanto. Oppure con la Storia, visto che qui abbiamo molti punti di interesse, come le trincee o le gallerie della Grande guerra. Come rifugio proponiamo eventi culturali, anche se non troppo di frequente, soprattutto legati ai temi ambientali. Domenica scorsa abbiamo avuto ospite un gruppo della Sat, partito da Malga Valli per arrivare fino qui e parlare lungo il percorso del clima e del rapporto tra l'essere umano e la natura. Sabato prossimo 31 agosto invece ospiteremo nel primo pomeriggio il cantautore vicentino Phill Reynolds.

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