Don Piero Rattin è guarito: "Il virus, la reazione della Terra alle violenze e agli insulti subiti"

di Giorgio Lacchin

Don Rattin, come sta?

«Adesso bene anche se mi stanco facilmente».

Cos’ha pensato quando le hanno detto: lei ha contratto il virus!

«A dire la verità ci ho messo un po’ a capire».

Don Piero Rattin (nella foto) è uno straordinario biblista e ha studiato a Roma e Gerusalemme.
I pellegrinaggi diocesani da lui guidati sono un’esperienza che marchia l’animo e il cuore per sempre. Per 36 anni don Rattin è stato parroco a Piedicastello, ora è il rettore del santuario della Madonna a Montagnaga di Piné.

Poi però, don Rattin, ha capito: era proprio il Covid-19.

«Dopo una settimana di febbre - ero in canonica, a Piedicastello, come ora - un amico medico ha detto che era il caso di andare al pronto soccorso».

Per forza.

«E al Santa Chiara mi hanno trovato positivo. Il giorno dopo mi hanno portato a Rovereto al reparto infettivi del Santa Maria del Carmine - come tutti - dove sono rimasto 10 giorni».

Il coronavirus è una cosa seria.

«Tutto sommato sono stato abbastanza fortunato: a parte la febbre non ho avuto altro, né tosse né problemi di respirazione, tanto che quando mi hanno tolto l’ossigeno...».

...ma allora glielo avevano dato!

«...sì, ma quando l’hanno tolto non me ne sono neanche accorto».

Quanti anni ha, don Rattin?

«Ne devo fare 74».

Ha molta strada, davanti.

«Sono uno di quei giovani che può anche morire!».

Non lo dica neanche per scherzo.

«Comunque ho l’abbonamento al Santa Maria del Carmine».

C’era già stato?

«Ricoverato varie volte; operato, anche. E ancora una volta ho ammirato la dedizione del personale sanitario: davvero eccezionale».

E ora questo virus.

«La prima cosa che mi è venuta in mente quando l’hanno confermato è che domenica 1° marzo alcuni gruppi dal Veneto erano venuti in pellegrinaggio a Montagnaga di Piné, al santuario della Madonna».

Lei è il rettore del santuario.

«E in quel periodo, in Veneto, c’erano già le chiese chiuse, invece da noi non c’erano ancora le disposizioni sanitarie in vigore adesso.

In pratica, penso che quel giorno ho contratto il virus».

Dopo la diagnosi ha avuto paura?

«Direi di no».

Ci vuole coraggio.

«Per me è incoscienza».

Sul serio?

«Sono stato ricoverato altre volte, come dicevo, e anche per motivi abbastanza gravi ma non ho mai avuto paura. Guardi: non per fede! Proprio incoscienza. Poi saltava fuori anche la fede, ma dopo».

Cosa pensa di questa strana Pasqua?

«Sa cosa le dico?».

Sentiamo.

«È più Pasqua che non quelle del passato».

E perché?

«Dicono che io sia un biblista...».

Lei è un biblista!

«...e mi picco di saperla più lunga degli altri...».

Carina, questa.

«...mi ha sempre colpito, dunque, che la Pasqua - la festa più antica dell’umanità: avrà quattromila anni - sia stata fin dal principio la festa della famiglia. Perché è proprio così.
Vuol dire, allora, che noi oggi celebriamo la Pasqua come dev’essere fatto: nelle nostre case, pur con tutte le arrabbiature, i nervosismi... E il ?passaggio? di Dio è assicurato. Sempre».

Perché Pasqua vuol dire passaggio.

«Passaggio dell’Eterno in mezzo a noi, qui, sulla Terra. Questa Terra insanguinata, stanca, che comincia a reagire a tutti gli insulti e le violenze subite. Sì, penso che questi virus siano tutto sommato una sua reazione».

Oggi, dunque, è vera Pasqua. Più vera che mai.

«Ed è secondario che non ci siano tutti i canonici... col vescovo... e i turiboli... Ciò che conta è il passaggio di Dio».

E Dio passa.

«Non so cosa faccia Dio quando passa, ma certamente non lo fa a mani vuote. E passando lascia qualcosa di positivo. Ne sono convinto».

Vedendo il dolore della gente, lascerà di più delle altre volte.

«Io penso di sì. Dobbiamo inoltre riconoscere che siamo davvero scossi, anche come credenti: scossi, perché nonostante le preghiere, le suppliche, le invocazioni, viene da pensare, a volte, che Dio sia sordo, o si sia voltato dall’altra parte, o sia andato in pensione. O magari a fare la Pasqua fuoriporta!».

Eh già.

«In realtà, dobbiamo ancora entrare nella logica cristiana essenziale, che è quella del Dio che condivide, del Dio che patisce, del Dio che si pone davanti a tutti per aprire una strada nella sciagura più inimmaginabile che si possa mettere in preventivo».

La Chiesa rimarrà segnata da questo evento?

«Ne parlo spesso con il vescovo Lauro. Insomma: l’espressione ?niente sarà più come prima?...».

...che va per la maggiore.

«...per chi è?».

Anche per la Chiesa, lei dice?

«Certamente per la Chiesa. L’abbiamo inserito anche nella grande supplica di affidamento della popolazione trentina alla Madonna pronunciata qualche giorno fa, in Duomo, dal vescovo: fa’ che niente sia più come prima - ma per davvero! - abbiamo supplicato. Fa’ che non siano soltanto belle parole! e che dunque ci comportiamo di conseguenza, sennò i medici, gli infermieri, i cappuccini, la gente semplice, tutti sarebbero morti invano. E sarebbe una gravissima ingiustizia».

La Chiesa deve marciare in testa.

«La Chiesa deve farsi promotrice di questa verifica, che dev’essere coraggiosa e non deve esaurirsi in tre giorni. E voglio sperare che tutti si sentano e vengano coinvolti: istituzioni civili, associazioni, anche quelli che non c’entrano con la Chiesa e la religione. Cosa c’è da cambiare? dobbiamo chiederci.
Perché siamo arrivati a questo punto? Cosa dobbiamo fare per tornare ?umani??».

Alla fine è una questione di umanità e rispetto.

«Non vorrei invadere il campo della politica, ma quante volte, in questi giorni, ho pensato: guarda un po’! abbiamo fatto di tutto per non fare entrare certe persone in Italia - quei poveri migranti! -, quelle che secondo noi portavano malattie, povertà, miseria. Alla fine, però, ciò che non volevamo e di cui avevamo paura, è entrato lo stesso. E non attraverso quelle persone, ma altre».

Se tutti quanti ci riflettessimo sarebbe un buon primo passo.

«Ma qui da noi non è tutto sbagliato: guardiamo anche il buono della nostra società, il positivo; che c’è! eccome! Ed è saltato fuori molto bene in queste settimane.
Mi chiedo solo perché ci sia voluto un dramma per farlo emergere... Comunque: ho visto una trasmissione in tivù, parlava degli Stati Uniti: Dio mio! se negli Stati Uniti una persona perde il lavoro e non è un benestante non ha diritto a essere curato».

Un’ultima domanda, don Rattin: la prima cosa che farà quando la pandemia allenterà la presa e potremo di nuovo uscire di casa.

«Per fortuna la canonica è abbastanza grande, e quando l’attraverso è come se facessi una passeggiata. Ma ogni volta che mi affaccio alle finestre gotiche del salone capitolare - qui, un tempo, c’era un monastero - e vedo gli ulivi intorno alla chiesa, mi dico che la prima cosa che farò sarà prendere una sedia e andarmi a sedere sotto quei rami».

Buona Pasqua, don Rattin.

«Buona Pasqua a tutti. Di cuore».

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