«Vaccino trentino, non è troppo tardi». Nuovo appello del rettore Collini
Non è troppo tardi per un vaccino trentino e infatti in questi giorni un certo interessamento c'è stato. Perché sono accadute due cose. Una piccola spinta l'ha data il dibattito innescato da l'Adige, dopo la notizia della ricerca al Cibio bloccata perché mancano 2 milioni per la fase 1 della sperimentazione clinica. Una spinta grande è dovuta invece al fatto che l'orizzonte è cambiato: è evidente che i vaccini ora in circolazione non basteranno.
Quindi un investimento su un nuovo prodotto può essere sostenibile e in prospettiva anche redditizio. A dirlo è il rettore dell'università di Trento Paolo Collini (nella foto), che tiene a sottolineare un dettaglio: quando ragionava, in un'intervista di qualche giorno fa, di occasione perduta, non pensava alla Provincia. Pensava all'Italia, troppo timorosa per scommettere sulla sua ricerca farmaceutica.
Rettore, l'assessore provinciale Achille Spinelli dice che non gli è stato chiesto nulla, per la ricerca sul vaccino.
«Ed è vero. Abbiamo presentato il risultato a maggio, loro non ci hanno offerto soldi, noi non li abbiamo chiesti. Solo che in Trentino, quando si parla di certe cose, pensano tutti alla Provincia. Mi spiace che sia stato tirato in ballo l'assessore».
L'idea di aver perso l'occasione per avere un vaccino made in Trentino, ha evidentemente scaldato gli animi. Qualcuno ha tirato in ballo anche l'università. Com'è andata?
«È un po' complesso. La ricerca è sviluppata da Cibio, sulla base di una piattaforma di una start up di Siena. Quindi si tratta di una partnership con un soggetto privato, con cui solo recentemente si è trovato un accordo. E poi ricordo che titolare di una ricerca non è l'università, ma i ricercatori stessi. Sono loro che possono brevettare. Questo spiega perché noi non ci siamo mossi più di tanto, non avendo la piena titolarità della cosa. Siamo un soggetto pubblico, non possiamo finanziare una cosa di proprietà anche di un soggetto privato. Inoltre il vaccino di Cibio è in fase preclinica. Ma se iniziamo la fase clinica, allora si tratta di un investimento di tipo industriale, a quel punto non è più ricerca, è rischio d'impresa. E l'università non ha la capacità amministrativa per portarla a termine».
La fase 1 della sperimentazione clinica è quella famosa da 2 milioni. Perché, all'epoca, non li avete chiesti alla Provincia?
«La prima fase è quella in cui si valuta l'eventuale tossicità su circa un centinaio di volontari, serve qualche mese. Per la seconda fase servono decine di milioni. Si erano mossi i ricercatori e il partner privato, ma su altre strade. Io stesso avevo preso contatti, ma è bene capire il contesto: ad ottobre nessuno era disposto a questo investimento. Non ci credeva più nessuno. Pfizer era ormai arrivata, il nostro vaccino è meno costoso e di più facile produzione, ma c'era Astrazeneca molto più avanti, con un vaccino che costa meno. Nessuno vedeva la sostenibilità economica».
In questo senso ha parlato di occasione persa?
«Sì, ma per l'Italia. Perché ci sono ricerche avviate in diversi posti. Se solo il Governo avesse messo 10 milioni, dividendoli su 5 progetti, sarebbe stata una scommessa sul nostro Paese. E a quest'ora potremmo avere la prospettiva di un vaccino italiano».
L'occasione è persa per sempre?
«No. Adesso la situazione è più fluida di come sembrava. Certo c'è stato l'investimento molto pesante del governo tedesco, che ha scommesso non sul vaccino migliore, ma sul più veloce. In un anno potrà recuperare il proprio investimento, poi Pfizer uscirà dal mercato: troppo complessa la conservazione. E poi c'è un'attenzione alle varianti. Ad oggi i vaccini conosciuti dovrebbero essere in grado di gestire le varianti note. Ma questo virus mostra una capacità di mutazione e più ci vacciniamo, più circoleranno mutazioni resistenti al vaccino. Se a questo aggiungiamo che non sappiamo quanto dura la risposta immunitaria, capiamo che è possibile che il virus continui a circolare, ogni anno avremo un'ondata. E quindi andremo verso una vaccinazione continua».
In questo senso, se capiamo bene, può apparire improvvisamente più interessante un investimento nella sperimentazione clinica di un nuovo vaccino.
«Esatto. E a me piacerebbe avere un pezzetto di quei possibili finanziamenti. Forse s'è perso qualche mese, un po' per incertezza di chi sta gestendo la cosa, un po' per incertezze nostre, un po' perché serviva un'intesa con il partner privato, ma adesso possiamo andare avanti insieme».
Ma pur in un orizzonte diverso, il tema resta identico: servono soldi. A cominciare da quei 2 milioni per la fase uno della sperimentazione clinica. Dove li cerchiamo?
«Noi abbiamo un vaccino, anzi due, uno più facile da produrre. E in questi giorni sono arrivati contatti di soggetti prima non interessati. Forse ci sono gli spazi. Trovo interessante l'iniziativa del presidente di Confcommercio Giovanni Bort. Mi piacerebbe che ci fosse una partecipazione trentina».
Ma adesso il pallino in mano a chi è?
«Ai ricercatori. Sono loro i titolari del lavoro».