La regola: autoimposizione o riconoscimento?
Un confronto tra posizioni diverse oggi ad Educa nel dialogo organizzato dalle cooperative sociali di Con.Solida tra il professor Raffaele Mantegazza, dell'Università di Milano Bicocca e l'ex Magistrato Gherardo Colombo. Per il primo solo limitandosi e riconoscendo la sottomissione in senso positivo si può essere liberi, per il secondo l'imposizione porta alla sudditanza e la democrazia non può funzionare se i cittadini non si riconoscono nelle regole.
"Una regola limita, crea un obbligo, sia che si tratti di una norma giuridica, civile o di una morale. La regola, che di per sé crea un'imposizione, è da considerarsi sempre pedagogicamente positiva. Negarlo porta ad un contesto in cui sono accettate solo le regole che piacciono!". Questo il pensiero di Raffaele Mantegazza, docente dell'Università Bicocca di Milano e fondatore del progetto di Pedagogia della resistenza.
Di tutt'altro avviso Gherardo Colombo, secondo il quale l'imposizione porta inevitabilmente all'implosione ed alla trasgressione. "Se voglio avere buone relazioni - ha affermato l'ex magistrato - devo potermi conoscere e riconoscere negli altri e la regola deve essere lo strumento per arrivare allo scopo."
Mantegazza ha descritto come sia cresciuta la sofferenza di educatori, insegnanti e di chi lavora nel contesto sociale a causa della percezione che il proprio operato non porti risultati. Ciò deriva dall'eclisse della dimensione politica intesa come società civile. Il vuoto delle grandi narrazioni ha dato spazio alla legge del mercato. Le regole educative vivono così una duplice crisi patologica: da una parte un'ipernormatività di tutti i comportamenti all'insegna dell'ideologia del controllo e della classificazione, dall'altra un crescente narcisismo ed egocentrismo dal punto di vista individuale. Il gran numero di norme prodotte vuole eliminare la dimensione del rischio, finendo però per creare una società piatta dove la burocrazia sottrae energie all'approfondimento e alla documentazione. L'ipernormatività, inoltre, è spesso accompagnata da un'assenza totale di strumenti collaterali: le leggi vengono emanate senza un percorso di implementazione sociale ed educativa.
Il narcisismo conduce, invece, al non riconoscimento della regola, alla ridicolizzazione della norma e di chi la rispetta. Solo limitandosi e riconoscendo la sottomissione in senso positivo si può essere liberi e il dovere non deve, essere letto in modo negativo. L'educazione non è quindi libertà, semmai si può educare alla libertà.
Secondo Gherardo Colombo, invece, l'imposizione non viene capita e educare significa aiutare a trovare una strada comune. L'imposizione porta alla sudditanza e la democrazia in questo caso non può funzionare. La giustizia infatti non può procedere se i cittadini non si riconoscono nelle regole, che devono essere volute e considerate cornice di un quadro più ampio. In un mondo perfetto la legge dovrebbe essere uguale per tutti, ma perché ciò avvenga è necessario fare un percorso: la regola non deve essere più considerata imposizione ma deve essere condivisa. Solo in determinati casi è possibile trasgredire le regole: quando le stesse calpestano i diritti inviolabili della persona, quando non vi sono altri modi legali per rispettarla, assumendosi comunque la responsabilità e non usando in nessun caso violenza. Il progresso, infatti, molto spesso nasce proprio dalla trasgressione delle regole.