Ilaria Dorigatti: «Avere un vaccino è un grande successo, ma la strada è ancora lunga. Preoccupano le varianti del virus»
La preoccupazione per le varianti, ma anche la grande speranza rappresentata dai vaccini. La bella stagione che dovrebbe portare una vita “normale”, ma anche la consapevolezza che la strada da percorrere sarà ancora lunga. E l’insegnamento: avere fiducia nella scienza, senza esitazioni o tentennamenti. È questo il quadro che ci propone Ilaria Dorigatti.
Trentina, mamma e docente presso Dipartimento di epidemiologia delle malattie infettive dell’Imperial College di Londra, da praticamente un anno è in prima linea nella lotta al Covid e il suo lavoro è stato, è e sarà fondamentale per capire e sconfiggere il maledetto virus. I suoi studi, tra l’altro, sono stati fondamentali per le strategie di contenimento adottate in vari Paesi europei. Uno su tutti quello pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature e supervisionato dalla “nostra” matematica e da Andrea Crisanti, che hanno analizzato il caso di Vo’ Euganeo e chiarito il ruolo degli asintomatici nella diffusione dell’epidemia.
Dorigatti, partiamo dai vaccini: dal punto di vista di scienza e ricerca avere delle dosi pronte e sicure in pochi mesi rappresenta un risultato incredibile.
La produzione di un vaccino ad un anno dall’emergenza del virus è un successo unico, che è stato ottenuto grazie a grandi investimenti e all’utilizzo di nuove tecniche di laboratorio e di design degli studi clinici che hanno permesso di accorciare i tempi di produzione e valutazione della loro sicurezza ed efficacia, senza mettere a rischio il rigore e l’affidabilità dei risultati. Questi sono stati pubblicati su riviste scientifiche e numerosi enti regolatori internazionali ne hanno approvato l’uso sulla base della sicurezza ed efficacia dimostrata. Poter condurre una campagna vaccinale ad un anno dalla scoperta del virus è un risultato fantastico e che dà speranza ma esistono ancora molte incognite sull’impatto del vaccino a livello di popolazione.
In Trentino siamo partiti con sanitari e Rsa e ci sono 6.000 persone già “immuni”. La scelta di partire con le fasce più a rischio è buona?
Condivido la scelta di partire dalle categorie più a rischio e più anziane, perché così facendo si proteggono dalla malattia le categorie più esposte e quelle più colpite dal virus. Oltre ad avere una chiara logica, penso sia anche una scelta etica. Sicuramente saremo più sereni nel sapere che la maggior parte dei nostri nonni e il nostro personale sanitario vaccinato non svilupperà la malattia nel momento in cui dovesse venire a contatto con il virus.
Il vaccino è efficace?
Il vaccino è molto efficace contro la malattia ma al momento non abbiamo indicazioni precise sull’abilità del vaccino di bloccare la trasmissione. In altre parole, sappiamo che una persona vaccinata è protetta contro la malattia ma non sappiamo se il vaccino blocchi completamente l’infezione. Ovvero, una persona vaccinata potrebbe infettarsi, ma senza avere sintomi, e in questo modo potrebbe potenzialmente fungere da vettore e passare l’infezione ad altre persone. È per questo motivo che, fino a quando questo aspetto non verrà confermato, il vaccino non deve essere considerato un sostituto delle misure di protezione. Capire quanto il vaccino è in grado di bloccare la trasmissione è una delle domande chiave per capire quando sarà possibile rilassare le restrizioni in maniera più definitiva. Ce lo diranno nuovi studi e l’esperienza di altri paesi con campagne vaccinali più avanzate. Nel frattempo, l’unica soluzione è continuare a vaccinarsi e continuare a rispettare le misure anti Covid-19.
Quali saranno le “prossime tappe” prima di poter dichiarare “sconfitto” il virus: le curve scendono ma a inizio febbraio vedremo gli effetti di riapertura scuole e fine restrizioni natalizie. Cosa dobbiamo aspettarci?
Penso che la strada sia ancora lunga prima di poter dichiarare il virus sconfitto. C’è anche la possibilità che con questo virus dovremo convivere per sempre.
Si parla molto del rischio varianti, che sarebbero particolarmente contagiose.
Sono preoccupata dalle nuove varianti, perché temo che in Italia e in altri Paesi non si stia facendo abbastanza sorveglianza genomica (ovvero sequenziamento del virus) in grado di identificare in maniera tempestiva eventuali focolai causati dalle nuove varianti. Si stima che la variante inglese oltre ad essere più contagiosa è anche più letale. Dal punto di vista del controllo dell’epidemia, questo significa le misure anti COVID-19 che hanno funzionato fino ad oggi potrebbero non bastare contro le nuove varianti. Le restrizioni ai movimenti internazionali che sono implementate attualmente stanno sicuramente diminuendo il rischio di diffusione delle varianti ma sappiamo che queste sono già presenti in molti Paesi. Le riaperture senza una sorveglianza epidemiologica intensificata potrebbero causare la diffusione non solo della vecchia, ma anche delle nuove varianti, che sono più difficili da contenere. Questo è un ulteriore motivo per cui non e’ ancora possibile pensare di aver sconfitto il virus e non si può abbassare la guardia. Lei è una matematica e proprio la matematica è stata fondamentale in questi mesi. Non sempre, purtroppo, grafici/proiezioni/allarmi sono stati ascoltati, ma i numeri hanno detto e previsto tutto (o almeno molto) in anticipo.
Adesso quei modelli cosa ci dicono in vista del 2021?
Non ho stime quantitative per il 2021, ma è chiaro che l’immunità di gregge è ancora lontana e ci sono ancora tutte le condizioni per un incremento della trasmissione e una ripresa dell’epidemia laddove l’indice Rt superi 1. La bella stagione potrebbe aiutarci: si stima che temperature più alte siano associate ad un abbassamento della trasmissione. Speriamo che questa non coincida con la diffusione di una nuova variante, che secondo i nostri calcoli andrebbe ad azzerare il vantaggio dato dalla bella stagione.
Come si spiega all’insofferenza delle persone la necessità di trovare un bilanciamento tra tornare alla normalità ed evitare nuove ondate?
La trasmissione di un virus ha un effetto a catena che va ben oltre la sfera dei propri contatti e le azioni individuali si ripercuotono su tutta la popolazione. In termini matematici il bilanciamento è relativamente semplice: se puntiamo a una politica di controllo del virus possiamo aumentare i contatti fin tanto che riusciamo a mantenere l’indice Rt sotto a 1. Ovviamente la necessità di tornare alla normalità non è solo una questione emotiva e sociale, è anche una questione economica che i governi di tutti i Paesi devono affrontare e sostenere. Dal punto di vista puramente motivazionale penso sia importante mettere i nostri sacrifici in prospettiva: ogni contagio evitato protegge la salute e salva la vita di molte persone.
Questo anno di pandemia cosa ci ha insegnato e quali sono gli errori da non ripetere per il futuro?
Spero si sia imparato ad avere più fiducia nella scienza in generale, che è l’unico strumento in grado di trovare risposte e soluzioni a questa pandemia. Purtroppo si è imparato a caro prezzo che esitazioni, anche solo di qualche giorno, nell’imporre misure per il controllo della trasmissione del virus si ripercuotono duramente sulla salute e sulla vita delle persone. In Inghilterra, ad esempio, si stima che un lockdown anticipato di una sola settimana avrebbe più che dimezzato il numero di morti da Covid (da 37.000 a 17.000 circa nella prima ondata). Credo fortemente nel contributo dei modelli e dell’analisi epidemiologica nelle politiche di salute pubblica e spero che in futuro queste siano sempre più guidate dall’evidenza scientifica, nell’interesse della salute e della vita di tutti.