Fra meno di un mese si vota per il biodistretto del Trentino: ecco cosa dovete sapere, e perché i contadini sono contrari
I promotori hanno raccolto 14 mila firme di trentini (ne bastavano 8 mila), e hanno dovuto fare ricorso al Tar per costringere la giunta provinciale a fissarne la data
TRENTO. Manca meno di un mese al referendum propositivo per l'istituzione del Distretto biologico del Trentino. Cinque settimane in cui il Comitato promotore (formato da una trentina di associazioni e realtà impegnate nel campo dell'ambiente e della sostenibilità) sarà impegnato nella campagna referendaria a ridosso del voto, dopo una battaglia di ideali e tenacia per non vedere insabbiato e stoppato l'obiettivo di trasformare tutta la provincia in un biodistretto.
Si vota domenica 26 settembre, con orario di apertura dei seggi dalle 6 alle 22. Fabio Giuliani è il presidente del Comitato: «Ricordiamo a tutti i cittadini che si vota nei propri tradizionali seggi e elettorali proprio come per qualsiasi elezione amministrativa, con documento e tessera elettorale. Per essere valido, il referendum dovrà vedere la partecipazione di almeno il 40% degli aventi diritto, vale a dire circa 170.000 elettori».
Se il quorum sarà raggiunto, e la metà più uno dei voti utili sarà stata a favore del Sì, la Provincia si impegnerà a «disciplinare su tutto il territorio agricolo trentino un distretto biologico, adottando iniziative legislative e provvedimenti amministrativi per promuovere la coltivazione, l'allevamento, la trasformazione e la preparazione alimentare prevalentemente con metodi biologici».
Compatibilmente con le norme nazionali ed europee e con i biodistretti già esistenti. Sono passati più di tre anni da quando l'assemblea congressuale dei Verdi del Trentino approvò all'unanimità una mozione per promuovere questo referendum propositivo.
«Ma già nella prima fase - precisa Marco Boato, membro dell'esecutivo e del consiglio federale dei Verdi/Europa Verde - decidemmo che non doveva trattarsi di un'iniziativa di partito ma di un progetto trasversale».
Il Comitato si riunì più volte nel corso del 2019 e una sua delegazione ha avviato l'interlocuzione con la commissione provinciale istituita ad hoc. L'ultimo anno e mezzo dell'iter referendario è stato segnato dalla pandemia, che rischiava, per motivi oggettivi e strumentali, di inghiottire le speranze dei promotori referendari: «Abbiamo raccolto, in due mesi invernali comunque segnati dalla pandemia, quasi 14.000 firme, di cui 12.848 valide - ricorda ancora Boato - quando ne bastavano 8.000 per indire il referendum. Con tantissimi trentini che si sono recati presso i propri Comuni per sottoscrivere la richiesta di referendum. C'è stato anche un ricorso al Tar del Comitato per costringere la Giunta provinciale a indire il referendum fissando una data».
«Senza la data certa del 26 settembre - aggiunge Giuliani - sarebbe stato difficile fare una campagna referendaria convincente. Nelle prossime settimane, come fatto per le firme, saremo nelle città e nelle valli per dare ancora spiegazioni e rispondere alle domande dei cittadini che vogliono essere correttamente informati».
I promotori del referendum e sostenitori del Sì partono dal ritardo del Trentino sul fronte del biologico. Siamo agli ultimi posti in Italia, con solo il 6% delle superfici agricole coltivate con metodi biologici. «Le Marche - prosegue il presidente del Comitato promotore - hanno trovato un accordo tra Regione e categorie agricole per trasformare tutta la regione in un distretto biologico, con un'azione dall'alto verso il basso. Qui in Trentino stiamo invece proponendo un percorso nato dal basso, partecipato e condiviso. Con Coldiretti e gli agricoltori che faticano ad abbandonare i fitofarmaci abbiamo un'interlocuzione franca e aperta, ci siamo incontrati, mai scontrati».
I sostenitori del biodistretto trentino sono convinti della bontà del progetto: «Attenzione - puntualizza Giuliani - con la vittoria del Sì al referendum non è che domani il Trentino diventa tutto biologico. Sappiamo che serve tempo, che ci sono agricoltori che hanno speso per gli impianti. Non obbliga nessuno: chi vuole, ci sta. Ma alla lunga i vantaggi sono tanti: agricoltura e turismo dialogherebbero di più, il Trentino diventerebbe un "brand" come oggi le Dolomiti, ridurremmo i fitofarmaci che possono essere alla base di tumori e malattie neurodegenerative. Aiuteremmo l'ambiente, perché le coltivazioni intensive sono clima-alteranti, indeboliscono le piante, provocano con i liquami inquinamento delle risorse idriche. Dobbiamo puntare sulle specie di contrasto ai parassiti, antagoniste, e aumentare la biodiversità, ampliando le produzioni orticole accanto a mele e vite. Sappiamo delle perplessità di alcuni agricoltori trentini, che ritengono il nostro clima troppo umido per il biologico, ma serve un cambio di passo». Coldiretti, per voce del presidente Gianluca Barbacovi, spiega la sua posizione: «Stiamo lavorando da anni sul fronte del new deal europeo in tema ambientale. Il biologico è una pratica in crescita e che va incentivata in quei territori che hanno una predisposizione, una vocazione. Tecnicamente, non tutto il Trentino può essere biologico. La lotta integrata prevede già da tempo una drastica riduzione dei fitofarmaci».
La replica del presidente Fabio Giuliani è pronta: «Purtroppo l'agricoltura integrata, pur puntando ad abbassare il grado di tossicità, non ha certificazioni certe. Il Trentino non può più puntare sulla quantità in agricoltura. Per stare sul mercato in futuro servirà alzare la qualità, compattare il territorio, fare formazione e il bio è la strada giusta».