Test più diffusi all'inizio della pandemia avrebbero limitato i danni: "Fino a marzo 2020 rilevato solo il 3% delle infezioni"
Pubblicata su Nature un'indagine internazionale cui hanno contribuito anche ricercatori della fondazione Kesler e dell'Isi di Torino: il sars-cov-2 presente in varie aree di Europa e Stati Uniti già prima della fine di gennaio dello scorso anno
TRENTO. Il covid è stato introdotto in diverse aree dell'Europa e degli Stati Uniti prima della fine di gennaio 2020 e la sua diffusione nei primi tre mesi del 2020 è stata in gran parte non rilevata, a causa della limitata capacità di identificare e testare i casi sospetti in quel periodo.
Solo l'1-3% circa delle infezioni è stato rilevato in queste aree fino a marzo 2020.
Emerge da uno studio pubblicato su Nature a cui hanno contributo anche la Fondazione Isi di Torino e la Fondazione Bruno Kessler di Trento.
Gli autori suggeriscono che test più diffusi e criteri di test più ampi potrebbero aver consentito un rilevamento e interventi precoci per prevenire la diffusione del virus.
L'analisi indica che all'inizio di marzo 2020 circa 9 infezioni su 1.000 sono state rilevate negli Stati Uniti e 35 su 1.000 in Europa.
Le stime sui tempi di introduzione variano in base al paese o allo stato.
Secondo lo studio è probabile che la trasmissione sia iniziata verso la fine di gennaio in California e all'inizio di febbraio nello stato di New York, ma forse fino a due settimane prima in Italia.
Non si può escludere la possibilità di eventi di introduzione e trasmissione già a dicembre 2019, sebbene la probabilità sia molto contenuta.
Sia in Europa che negli Stati Uniti - rilevano i ricercatori - l'introduzione di Sar-CoV-2 dalla Cina è stata importante solo nella primissima fase dell'epidemia.
Con l'evolvere dell'epidemia è diventato sempre più rilevante il contributo delle introduzioni domestiche, che hanno contribuito a sincronizzare le epidemie nei diversi stati di Europa e Stati Uniti.