La storia di Pietro Gorgazzini, trentino sull'onda
Un ufficio a Milano, zona Duomo, e un altro a New York. Un passato come giocatore di basket, anche negli Usa, a Dallas. Una laurea alla Iulm. Una fidanzata che fa la modella di intimo. Un lavoro come CEO di un'azienda innovativa e in grande espansione. Una decina di dipendenti (ma saranno presto quindici). Un fatturato che nel 2015 punta a superare il milione di euro. Una serie di idee nel cassetto, da sviluppare e realizzare nel futuro prossimo. A questo punto starete pensando alla trama di un qualche film o serie tv made in Usa, a un nerd da garage che è diventato ricco e famoso grazie a una qualche invenzione informatica. Lo immaginerete con sciarpa di cotone al collo, barba di qualche giorno, t-shirt vintage e giacchetta sportiva, iPhone, Clarks colorate ai piedi. Invece no. Fermate la vostra immaginazione, tornate da [[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"198596","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"512","style":"float: right;","width":"350"}}]]Seattle o Los Angeles a Trento. Quella che abbiamo appena elencato è, in estrema sintesi, la scheda di un ragazzo trentino. Si chiama Pietro Gorgazzini (a destra con la fidanzata Maria Elena), ha meno di trent'anni (è del 1989) e, appunto, ha realizzato tutto quello che abbiamo descritto. E che ora proveremo a descrivere meglio, anche se riassumere le sue esperienze, i suoi successi professionali, le sfide che ha vinto, non sarà facile.
Le parole chiave della sua carriera sono quelle più in voga negli ultimi tempi: startup, social network, community, video maker. Ma, procedendo con ordine, la prima parola chiave è, probabilmente, basket. Pietro, infatti, da studente del Galilei, decide di andare negli Stati Uniti per il quarto anno all'estero. Studio e pallacanestro le due motivazioni che lo spingono a fare questa scelta. «Diciamo studio per i genitori, ma per me l'obiettivo era la pallacanestro. Ai tempi ero un panchinaro nell'Aquila, mentre a Dallas mi sono tolto grandi soddisfazioni nello sport. Comunque quell'esperienza mi è servita tantissimo, da ogni punto di vista». Da qui in poi le strade di Pietro e del Trentino si divideranno. «In pratica non sono più tornato, se non per trovare amici e genitori. Avevo la percezione che a Trento non ci fossero le opportunità che cercavo. Con il basket, anche per via di una caviglia ballerina, non ho insistito: tornato dall'America mi sono iscritto alla Iulm, prima a Feltre e poi a Milano». Durante gli studi Pietro non resta con le mani in mano: per non pesare troppo sui genitori vuole lavorare ma, volendo anche laurearsi in fretta, il tempo a disposizione non è molto. «Fondo la mia prima startup con un amico e tengo una serie di corsi a Milano, Torino, Pisa, Roma, sulle dinamiche sociali, sui modelli di comportamento, sul rapportarsi con l'altro sesso». L'idea è un successo, anche molti media nazionali ne parlano. «Non farmici pensare: su un quotidiano hanno messo un titolo, descrivendo nell'articolo la nostra attività, che mi fece proprio imbestialire. «I professori dell'acchiappo», capisci?». Beh, carino come titolo... Comunque, andiamo avanti.
«Siamo nel 2011, sto per laurearmi e devo iniziare a pensare al futuro. La Iulm è considerata una sorta di vivaio per Mediaset e altre grosse aziende. Ma in realtà, oggi, non è più così e io non avevo intenzione di fare fotocopie o stage non retribuiti. Così fondo Standouter». On line troviamo una descrizione: «Standouter mette in contatto talenti, fan e brand, favorendo l'engagement: è una piattaforma digitale che, attraverso lo strumento del white-label talent show, porta su web e mobile un format tipico della televisione creando un nuovo spazio di coinvolgimento per le aziende». Chiediamo a Pietro una traduzione. «Si tratta di un sito per artisti e talenti nel mondo dei video. Noi li raccogliamo e permettiamo loro di emergere, di far vedere quanto valgono. A questo punto facciamo da tramite tra loro e le aziende». A maggio 2013 la startup diventa una srl, riceve dei finanziamenti (tra cui Marco Corradino, fondatore dei siti Volagratis e Bravofly) e, dopo quasi otto mesi dedicati alla programmazione del sito, nel febbraio 2014 la piattaforma viene lanciata sul mercato. «I primi mesi sono di porte in faccia. Ma poi ecco i primi clienti, anche grosse aziende come Tuborg e Universal Picture». Pietro non si ferma. Ad agosto dello stesso anno nasce Dokout, dedicata ai film maker. Ovunque si legge che uno dei settori più in crisi è quello della pubblicità. E il nostro trentino cosa fa? Si butta nel mondo della pubblicità. Lo fa, però, in maniera diversa, con un approccio innovativo.
[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"198586","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"512","style":"float: right;","width":"342"}}]]«Noi vogliamo essere il tramite tra il piccolo e il grande. Possiamo garantire una qualità altissima a prezzi molto bassi. Abbiamo due piattaforme con decine di artisti, di giovani professionisti, ognuno con le proprie caratteristiche e peculiarità: le aziende possono scegliere e risparmiare, confezionando spot e video stupendi. Abbiamo ingaggiato talenti che su YouTube avevano qualche centinaio di click e ora gestiscono la comunicazione video di grandi aziende. Alla distribuzione pensiamo noi, tramite i canali social». Ottobre 2014. Pietro si butta nel mondo della tv e produce per il canale Explora di Sky uno show che ha risultati pazzeschi. Si chiama The Fishing Beauty (a destra la foto promo di Maria Elena). «Perché non mettere alla prova una modella, ovvero la mia fidanzata Maria Elena, in un mondo come quello della pesca? Ci abbiamo provato con un programma atipico, mai visto prima. Ed è andata benissimo». Share altissimo e a breve nuovi episodi. Andiamo avanti.
Novembre 2014. Pietro va a New York per una sorta di concorso internazionale, Venture Out: vengono selezionate delle startup in tutto il mondo che si distinguano per un modello di business innovativo. «Erano entusiasti delle nostre idee e siamo stati selezionati. Il mese scorso abbiamo aperto un ufficio a New York, dopo aver creato la nuova startup Smallfish». Smallfish, il piccolo pesce, con un piranha come logo: ovvero, chi ha fame, anche se piccolo, sbrana il grande. Il mondo e il mercato della pubblicità sono sovvertiti, il panchinaro è diventato titolarissimo e ha cambiato le regole del gioco. Ha avuto le idee giuste, ha rischiato e ora ha vinto. Ma non diteglielo, perché lui non esulta ed è già proiettato al futuro.
«Ora ho qualche idea per ampliare il nostro modello al mondo dell'editoria e della fotografia. Nei viaggi tra Milano e New York avrò tempo per pensarci». Però una curiosità deve togliercela. «Mi chiedi quanto guadagno? Beh, sai che in queste cose il direttore generale è sempre quello che si tiene di meno. Ti dico che l'obiettivo 2015 è superare il milione di euro di fatturato. Stiamo crescendo ma non vogliamo ampliarci troppo: al massimo 15 persone, non di più. Recentemente ho assunto anche un altro trentino, si chiama Luca Moser (nella foto qui sotto) ed era un mio compagno ai tempi del Galilei». I tempi del Galilei, ovvero tre startup fa. Oggi c'è Smallfish, c'è New York. Trento è quasi un ricordo. Ma da Trento non si può che applaudire l'intraprendenza di un trentino che, con coraggio e buone idee, ce l'ha fatta.
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