Il Garante: rischio pedopornografia pubblicando foto dei figli sui social
Sono passati vent’anni, eppure sembra un secolo.
Era l’8 maggio 1997 quando entrava in vigore la prima legge sulla privacy: da allora la protezione dei dati è diventata parte integrante del nostro essere cittadini, ma resta la frontiera su cui si gioca buona parte del nostro futuro e si combattono nuove sfide, dalla lotta al terrorismo allo strapotere dei giganti del web, dal cybercrime alla pedopornografia, che dilaga con l’involontario contributo di genitori incauti.
Nell’universo digitale, in cui gli algoritmi ci ‘profilanò, ci rendono «omologati e omologanti», arrivando ad «annullare l’unicità della persona» e trasformandola in una «cifra per Big Data», o ci ‘recensisconò fino a creare banche dati della reputazione, la privacy si conferma un «presidio» essenziale, sottolinea con forza il Garante Antonello Soro, che nella Relazione annuale al Parlamento evidenzia i rischi sempre nuovi per la libertà e la democrazia.
Nella Sala della Regina alla Camera, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e alla presidente della Camera Laura Boldrini, Soro entra dritto nel cuore delle cronache di questi giorni per ricordare innanzi tutto che la tutela della privacy è «indispensabile» nella lotta al terrorismo, «per rendere le attività di contrasto più risolutive, perchè meno massive e quindi orientate su più congrui bersagli» e far sì che su questo fronte «siamo più efficaci, non meno liberi».
Poi punta il dito sui «grandi fratelli che governano la rete», quei giganti del web che dispongono «di tutti i mezzi per indirizzare la propria influenza verso ciascuno di noi, con la conseguenza che, un numero sempre più grande di persone - tendenzialmente l’umanità intera - potrà subire condizionamenti decisivi». Uno strapotere al quale non bisogna rassegnarsi, è il monito della Boldrini, che cita una recente intervista di Franco Bernabè per sottolineare che «Google, Apple Facebook e Microsoft, insieme, hanno una capitalizzazione di borsa equivalente al Pil della Francia», «sono più potenti dei governi» e godono di «fatturati stratosferici»: di qui il richiamo forte all’assunzione di «responsabilità», sul piano «fiscale», «lasciando risorse nei Paesi in cui fanno così lauti profitti», ma anche «editoriale».
Una responsabilità alla quale sono chiamate anche le aziende, che nel 2016 hanno subito danni per 9 miliardi dagli attacchi informativi, eppure «meno del 20% fa investimenti adeguati per la protezione del proprio patrimonio informativo». E sono chiamate le famiglie: la pedopornografia dilaga in rete, con 2 milioni di immagini censite lo scorso anno e la fonte involontaria - avverte il Garante - «sarebbero i social network in cui genitori postano le immagini dei figli».
L’analisi del Garante tocca anche l’annosa questione delle intercettazioni, con l’invito ad adottare «adeguate misure di sicurezza, da parte di ciascun soggetto coinvolto in ogni fase dell’indagine«, per ridurre i rischi legati alla »frammentazione dei centri di responsabilità», e il mondo dell’informazione, con il monito a considerare il «potenziale distorsivo del processo mediatico, in cui logica dell’audience e populismo penale rischiano di rendere la presunzione di colpevolezza il vero criterio di giudizio».
Anche la risposta alle fake news, sottolinea Soro, «non va cercata nella tecnologia, né nei »tribunali della verità», ma in un «forte impegno pubblico e privato nell’educazione civica alla società digitale», nella «sistematica verifica delle fonti» e, ancora una volta, nella «forte assunzione di responsabilità da parte di ciascuno: dal singolo utente alle redazioni e, certo, ai grandi gestori della rete».