Gli Standschützen sul fronte di Ledro

di Renzo Maria Grosselli

Il fronte, non quello delle grandi battaglie, ma quello dell'attenzione spasmodica all'eventuale sortita del nemico e da cui partivano a sua volta delle sortite per cercare di far male a chi stava dall'altra parte. Nel nostro caso il fronte è quello delle montagne della valle di Ledro che sul versante trentino nella grande guerra vide posizionati gli Standschützen. Si trattava degli iscritti ai poligoni di tiro, che non erano stati mobilitati nei reparti regolari dell'esercito austriaco, composti soprattutto da giovani sotto i 18 anni o da soldati over 50 a cui si aggiungevano ex feriti in battaglia. Si trattava dell'ultima risorsa che gli austro-ungarici inviarono sul fronte italiano quando nel 1915 l'Italia entrò nel conflitto e il grosso dell'esercito era schierato in Galizia. Di questo tratta il volume «Gli Standschützen sui monti di Ledro.

La linea difensiva austro-ungarica nella Grande Guerra, dalla cima della Rocchetta al Tofino di Pichea» di Marco Ischia e Alexander Schwabl, Temi, 455 pp., 30 euro, foto di Arianna Tamburini (edizione bilingue, italiano e tedesco). La pubblicazione del volume è stata promossa dal Comitato storico Ludwig Riccabona, di cui è presidente Ischia che di professione fa il chimico ma che è un grande appassionato di storia locale.

Alexander Schwabl, di Lana, invece nella vita è fabbro, amante pure lui della storia tanto da aver messo insieme un piccolo ma ricco museo della Grande guerra, a Lana dove vive. «Sul fronte ledrense non successe nulla di molto rilevante durante il conflitto - puntualizza Marco Ischia - e del migliaio di Standschützen che vi combatterono si è scritto molto poco.

Si trattava di una milizia regolare, non disciplinata perfettamente secondo le regole militari: ad esempio era la truppa che si eleggeva il capitano, gli ufficiali. Erano tutti provetti tiratori e normalmente si trattava di gente motivata. Il settore di Ledro fu difeso da loro sino alla fine del conflitto». Nel maggio 1915 vi furono inviati i reparti di Bolzano, Lana, Sarentino e quello di Riva-Arco. Nel 1918 i primi tre furono ritirati e sostituiti da reparti della valle dell'Isarco e di Innsbruck.

Il numero di uomini calò progressivamente: gli anziani che non reggevano venivano congedati, i giovani al 18esimo anno erano inquadrati nell'esercito. «La tattica era prettamente difensiva perché il territorio era adeguato alla difesa: fatto di pendii verticali dal lato italiano, insuperabili se non da chi rischiava in qualsiasi momento di essere raggiunto allo scoperto da una fucilata». Ma sempre di guerra si trattava. Mai scontri campali ma pattugliamenti e scontri tra piccoli gruppi e soprattutto vita in altura, con inverni molto rigidi. Il volume è corredato da circa 200 immagini d'epoca che provengono da archivi privati e da una lunga serie di immagini attuali di Arianna Tamburini, sui resti lasciati sul territorio da quel conflitto. «Vogliamo così coniugare - dice Ischia - la memoria della nostra terra con quella dei combattenti. Abbiamo condotto ricerche d'archivio, bibliografiche e su giornali d'epoca, su periodici. Ma abbiamo però anche percorso in lungo e in largo quel territorio per verificare e studiare la linea difensiva, censire le opere».

A ciò vanno aggiunte alcune memorie scritte provenienti dal Sudtirolo, che sono riproposte in italiano per la prima volta. Per quanto riguarda il reparto di Riva-Arco, invece, si è portata avanti una ricerca presso l'Archivio di Stato di Trento. Un lungo impegno quello del Comitato Riccabona, partito nel 2009. La prima parte del volume tratta del conflitto sui monti di Ledro, delle formazioni impegnate e della strutturazione della linea austro-ungarica. Ci sono anche informazioni sui «pittori di guerra», Kriegsmaler. Il più famoso fu Albin Egger-Lienz che iniziò questa attività proprio a Forte Tombio nel 1915. Poi, del gruppo bolzanino, i fratelli Karl e Pfeyschly Stolz, quindi Hugo Atzwanger e anche il fassano Ferdinando Rizzi. La seconda parte del libro riporta alcune testimonianze.

Ad esempio quella del medico bolzanino che racconta il primo scontro a fuoco ma soprattutto la quotidianità sul fronte montano. Tra le chicche è riprodotto anche un giornalino umoristico, quasi certamente stampato in una sola copia, a fine 1915, per i soldati del fronte alto-gardesano. «Proponiamo poi le memorie di due Standschützen di Lana, Joseph Tribus e Leo Lösch. Il primo rimase lì sino al 1916 e narra l'arrivo e le impressioni dei soldati di Lana alla partenza. Poi dà testimonianza del Rebaltón del 1918, della rotta austriaca vista da Lana, con disordini, razzie ai magazzini.

Lo scritto di Lösch è costituito invece da un piccolo calendarietto tascabile. Racconta un pattugliamento e riproduce una lettera alla fidanzata in cui narra di un inverno eccezionale in cui la sua baracca crollò per l'accumulo di neve sul tetto». Di quell'inverno il libro propone molte fotografie. I testimoni, diciamo così, fotografici sono il tenente Pfeiffersberg e Fritz Leyer di Bolzano (fotografie provenienti nel primo caso dall'Archivio della Provincia di Bolzano e nel secondo caso da un album fotografico privato). Altre ancora sono le memorie scritte proposte da Ischia e Schwabl: un diario che testimonia della grande fame patita dalla truppa nel 1918, un altro di Karl Sollath che narra di Standschützen mandati, nel giugno del 1918, a conquistare il Doss Alto di Nago (erano quindi impiegati anche in reparti di assalto dell'esercito).

Infine, il maggiore Dipauli, comandante del gruppo della valle d'Isarco, che racconta gli ultimi giorni di guerra sul fronte di Ledro. La terza parte del libro è il risultato del grande lavoro, anche fotografico, sul territorio. Si tratta del censimento delle opere presenti sul fronte, quasi tutte in caverna: presenta mappe, foto, ne descrive le peculiarità.

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