La tragedia in Norvegia: il racconto dell'amico di Luca «Siamo precipitati dal paradiso all'inferno in un attimo»
Ha lasciato la Norvegia da pochi giorni. E con lei, oltre alle immagini dei fiordi, della neve e di paesaggi indimenticabili, si è lasciato dietro le spalle l’esperienza più tragica della sua vita. Ma i ricordi no. Quelli è difficile abbandonarli. Quelli ti vengono dietro. Fabrizio Spinazzè, 55 anni, era in Norvegia assieme a Alessandro Marcolla, Paolo Righi e Luca Beretta. Era con loro, quando la valanga ha travolto Luca. Era con loro, mentre tentavano di liberarlo da cinque metri di neve. Questo il suo ricordo di una vacanza iniziata come un sogno che si avvera e trasformatasi in un attimo nel peggior incubo possibile.
«Amici di Facebook e non, sono appena rientrato dalla Norvegia, dove c’è stata la tragedia di cui molti di voi già sanno. Sento il bisogno di dire qualcosa in forma scritta, dove me la cavo meglio che con le parole dette. Siamo precipitati dal paradiso del primo giorno all’inferno del secondo».
«Eravamo usciti di casa in tarda mattinata con l’idea di fare una gita su di un monte facile dietro casa, perché era coperto e non era una giornata molto invitante. Abbiamo raggiunto la facile cima, siamo scesi per il pendio principale e poi, quando eravamo ad appena un chilometro dalla casa che avevamo preso a Lyngenseidet, abbiamo infilato una innocua ed insignificante, all’apparenza, valletta. Dopo qualche centinaio di metri è venuta giù la parete di destra per un fronte di circa 200 metri colpendo tutti. Paolo davanti ed io dietro di lui siamo stati buttati a terra, Luca e Ale 30/40 metri dietro di noi avevano una paretina di roccia sulla destra che ha fatto da diga bloccando il deflusso della neve e sono rimasti sotto entrambi».
«Abbiamo localizzato con l’arva uno dei due e iniziato a scavare. Abbiamo chiamato i soccorsi e iniziato a localizzare il secondo. Sotto un metro e mezzo circa di neve è apparso il casco di Ale e siamo arrivati a liberargli le vie respiratorie. Erano passati a quel punto 15 minuti circa. Il resto del corpo era ancora tutto bloccato sotto e reclamava di essere tirato fuori velocemente. La ricerca dell’altro si rivelava complicata, l’arva dava un segnale debole in un punto, ma lì poi diceva di cambiare direzione. Le sonde in quel punto scendevano fino a 3 metri senza incontrare resistenza, ed è la loro massima lunghezza».
Impossibile capire davvero cosa hanno provato in quei momenti. Ma dalle parole di Spinazzè traspare l’angoscia: «Il tempo passa, il panico cresce, i soccorsi non riescono a localizzarti e continuano a telefonare, bisogna finire di tirare fuori Ale, i suoi piedi sono bloccati nella morsa degli attacchi sotto un altro metro e mezzo di neve e tu scavi e la neve che butti fuori ricade dentro, devi allargare lo scavo e il tempo passa. Luca è in un altro punto, ancora sotto. Iniziamo comunque a scavare nell’unico punto impreciso che sembra indicarci l’arva. Togli neve in una zona dove già sai che andrai sotto 3 metri senza trovare nulla e il tempo corre inesorabile e implacabile, mentre nel tuo cuore si fa strada una angoscia paralizzante che ti sussurra che il tuo affannarti è tutto inutile, tutto vano. Pensavo le forze si decuplicassero in questi frangenti, non è così».
«Ale è fuori, arrivano i soccorsi con 2 elicotteri, 12 persone iniziano a scavare in quello stesso punto dove avevamo iniziato e andranno avanti per un’ora e mezza a scavare, in 12, prima di arrivare ai più di 5 metri di profondità dove si trova Luca. Dà incredibilmente ancora qualche debolissimo segno di vita. Durante la notte in ospedale anche questo residuo se ne va».
Un epilogo drammatico, inimmaginabile, pensando all’organizzazione del viaggio: «Eravamo partiti con l’idea di godere il paesaggio, di scegliere escursioni facili e suggestive, di non andare in cerca di rogne. Avevamo prenotato una guida alpina locale per alcuni dei giorni successivi. Non è bastato. Come, dove, perché abbiamo sbagliato finirà nel cortocircuito dei pensieri che ci accompagnerà per il resto della nostra vita. Un inchino alla formidabile famiglia di Luca che riesce a trovare un barlume di consolazione sapendo che lui è morto facendo una cosa che amava fare. Un applauso a tutti i norvegesi che si sono prodigati in maniera commovente per darci conforto e sollevarci da tutti gli adempimenti. Una benedizione per Luca, padre esemplare, uomo buono, amico gentile. Che va ad aggiungersi alla lista dei troppi che non meritano di morire. Ma la sua soavità gli sopravvive, la sua assenza diventa per i suoi cari forma di energia tangibile e vitale. La montagna, lo sci alpinismo, la Norvegia restano sullo sfondo con il loro canto suadente e la loro bellezza sovrana».
«Mentre Luca se ne va, mi arriva la notizia della nascita di un quarto nipotino. Vita e morte a braccetto. Come sempre. Vi amo tutti. Ora più che mai. Fabrizio».