«Sì alle colture pulite, no ai pesticidi» A Belluno firme contro i «colonizzatori»
Nel mirino ci sono aziende trevigiane del prosecco ma anche qualche impresa trentina (delle mele) e sudtirolese: a Belluno è partita una campagna civile per fermare quella che viene definita una «nuova forma di colonizzazione del territorio». Si tratta di un fenomeno cominciato qualche anno fa, che ha subito una decisa accelerazione in seguito alla decisione della Regione Veneto di estendere alla provincia di Belluno l'area del prosecco Doc: un presupposto fondamentale per i produttori della pedemontana trevigiana in cerca di nuovi spazi per il business delle bollicine.
In sostanza, vengono affittati o acquistati a buon mercato terreni sulle colline della Valbelluna (tra Feltre e Belluno) per impiantarvi vigneti e in misura minore frutteti, spesso con imponenti sbancamenti. La preoccupazione delle popolazioni, ma anche di diverse amministrazioni locali, è che si intenda esportare nel Bellunese, a scopi speculativi visti i contributi pubblici ai vigneti, il modello di agricoltura intensiva, con largo impiego di pesticidi e fitofarmaci, già attuato da decenni nelle zone di provenienza delle aziende agricole.
Perciò è partita una mobilitazione popolare che invita le autorità a mettere in atto contromisure in difesa dell'ambiente, della salute umana e del paesaggio in un territorio che oltretutto punta molto sul turismo, sull'aria pura, sulla wilderness.
Fra l'altro, se da un lato arrivano i produttori del prosecco, dall'altro avanza - sia pure fra molti ostacoli - un progetto lanciato dal parco nazionale delle Dolomiti bellunesi per trasformare l'intera provincia dolomitica in un grande distretto dell'agricoltura biologica (settore che continua a crescere malgrado la crisi): un distretto basato sulla pluralità delle colture, in armonia con le caratteristiche di una zona alpina che ha nel patrimonio naturale e nella biodiversità la risorsa principale.
Per dissuadere chi intende investire invece nell'agricoltura intensiva e nelle monocolture che inaridiscono la terra, si è compattato un fronte ampio di associazioni che ha lanciato la campagna «Liberi dai veleni. Per il diritto alla salute contro l’invasione di vigneti e meleti intensivi in provincia di Belluno».
È in corso anche la raccolta di firme per una petizioni popolare rivolta alla Regione Veneto e agli amministratori provinciali: in pochi giorni sono già state raccolte oltre mille adesioni.
Nella petizione, che si può sottoscrivere anche on line, si sottolineano i rischi connessi con questo modello agricolo: «Queste coltivazioni sono caratterizzate da un largo impiego di diserbanti e pesticidi che hanno già avuto diversi effetti negativi per la salute e per l’ambiente nelle province confinanti.
Le conseguenze per l’impiego di tali sostanze nel territorio bellunese sono: grave rischio per la salute dei cittadini che abitano, lavorano, frequentano le scuole nelle zone limitrofe alle coltivazioni; l’inquinamento della terra, dell’acqua e dell’aria; la moria di numerose specie animali (in particolare insetti (come le api), lombrichi e uccelli eccetera; svalutazione del valore commerciale degli immobili confinanti le coltivazioni; graduale depauperamento di una risorsa naturale preziosa come è il territorio e il paesaggio della Valbelluna».
Da qui una serie di richieste precise: «Che vengano approvati regolamenti di polizia rurale che limitino l’utilizzo dei pesticidi e vietino quelli cancerogeni e nocivi per la salute;
che siano sviluppate politiche che favoriscano un’agricoltura sana e sostenibile nel rispetto della biodiversità e delle tipicità bellunesi;
che vengano rivisti gli strumenti di controllo e salvaguardia sull’utilizzo del territorio per evitare pesanti sbancamenti, deturpazione del paesaggio e possibili discariche abusive;
che vengano ridotti gli incentivi economici per le produzioni intensive e no food in favore di modelli di coltivazione sostenibili per prodotti tipici e primari;
che venga revocata la Denominazione di origine controllata (Doc) del prosecco dalla provincia di Belluno, in quanto puro strumento speculativo di aumento delle quote a beneficio esclusivo dei produttori trevigiani;
che siano attivati nelle scuole percorsi formativi su questi temi e che siano istituite diete con prodotti biologici e locali per le mense scolastiche».
La campagna è stata lanciata un paio di settimane fa nel corso di un'affollata serata pubblica svoltasi a Belluno e ora sono in programma diversi altri incontri - uno il 9 agosto a Calalzo di Cadore anche con la proiezione del documentario trentino «Veleni in paradiso» - per promuovere l'iniziativa, che è stata lanciata dal movimento Terra bellunese, dal gruppo Coltivare condividendo, dalla cooperativa Samarcanda che gestisce le botteghe bellunesi del commercio equosolidale, dal Gruppo natura di Lentiai, dal Comitato acqua bene comune (l'ipersfruttamento idrioelettrico e irriguo per la pianura veneta è un'altra criticità significativa), l'associazione Dolomiti Bio, la Comune Bellunese, i gruppi di acquisto solidale El Ceston di Pieve di Cadore e la Madia di Feltre, la Casa dei beni comuni di Belluno, cui si sono aggiunti il Wwf Terre del Piave e l'Aiab Veneto (Associazione italiana agricoltura biologica).
All'origine della campagna c'è un impegno cominciato già l'anno scorso e sfociato, fra l'altro, nella stesura di una proposta di regolamento di polizia rurale che il movimento Terra bellunese ha sottoposto a tutti i Comuni chiedendone l'adozione, al fine di introdurre norme innovative e controlli severi sull'utilizzo di pesticidi e fitofarmaci, per tutelare la salute degli esseri viventi e il patrimonio naturale. Allo stato attuale qualche municipio sta valutando l'adozione del testo, mentre altri, come quelli della Sinistra Piave bellunese (Lentiai, Mel, Trichiana e Limana) sono apparentemente corsi ai ripari approvando congiuntamente un regolamento che tuttavia viene considerato del tutto insufficiente, per usare un eufemismo, dai promotori di «Liberi dai veleni».