Dopo la malattia per Covid multa da 400 euro per due passi nel bosco
Si era ammalata di Covid-19. Dopo una quarantena provante - un isolamento totale di 38 giorni a casa, seguita a distanza dai sanitari dell’ospedale di Cavalese e dal suo medico di famiglia - al terzo tampone negativo (oltre al Coronavirus si è fatta anche una tonsillite affrontata con l’antibiotico), è uscita per prendere una boccata d’aria e un po’ di sole.
Monica Basso, residente a Cavalese, un impiego a Bolzano, racconta del poi, di ciò che si prova e del bisogno infinito di sentire le persone vicine. «Dopo la fine dell’isolamento sono andata a fare la spesa e poi a cercare un po’ di tranquillità, fuori». È andata a fare quattro passi nel bosco. Tutto questo è accaduto sabato scorso, 25 aprile, Festa della Liberazione. In un certo senso è stata la sua “liberazione”: libera da un incubo, libera dalla paura di morire, di poter tornare alla vita.
Sono le sue sensazioni raccontate non senza difficoltà. Ecco cosa è accaduto: «Passeggio lentamente e assaporo l’aria fresca del mattino. I raggi del sole filtrano tra gli alberi e mi sento felice. Una felicità illusoria che dura 7 minuti. Alla fine del sentiero, a meno degli ormai “famosi” 200 metri, vedo posteggiata la macchina dei vigili urbani. Vengo chiamata e fermata da due vigilesse le quali sostengono che “passeggiavo all’interno di un’area verde con panchine, cestini, sculture e parcheggio”. Premetto che l’area in questione è, secondo il sindaco del Comune in questione, destinata a bosco, infatti sprovvista di nastri di divieto di accesso. Non esiste inoltre nessun cartello con indicazione di parco pubblico».
In una lettera parla della «mancanza di comprensione e di rispetto per l’essere umano e la sua libertà». «A nulla è valsa la spiegazione della situazione». Le agenti hanno elevato una sanzione di 400 euro. Tutto secondo la legge, ma nella percezione di chi ha vissuto e vive un momento così delicato è parso un abuso: «Un puro abuso di potere del valore di 400 euro.
Rifletto: un mese e mezzo che non lavoro e non guadagno. Il Governo sta studiando come aiutare economicamente le persone che non possono lavorare e si trovano in difficoltà. Velocemente faccio i conti: 600 euro meno 400...
Sono debole e le lacrime mi scendono dagli occhi mentre inizia la lunga compilazione cartacea del verbale. Insisto nel sottolineare l’ingiustizia.
Vengo trattata come la peggiore dei delinquenti. La risposta cruda e spietata è stata: “Tutti abbiamo i nostri problemi. A noi, i suoi, non interessano.
Se ritiene ingiusto il verbale faccia ricorso”. Vergogna! Non si chiede pietà. Dove sono finite l’etica umana, la correttezza e il rispetto per gli altri?»
Monica Basso ha contattato l’Adige per parlare della sua storia, per condividerla. «Ma prima, per correttezza, ho scritto al sindaco di Cavalese, che peraltro «mi ha risposto subito esprimendo, con parole che apprezzo molto, la sua comprensione e vicinanza». Il sindaco Silvano Welponer proprio su questo giornale domenica aveva parlato dell’eccessiva solerzia della polizia locale in materia di applicazione delle normative in materia di Covid (il divieto di spostarsi se non per comprovate ragioni di necessità).
Il primo cittadino ha detto che tanti abitanti di Cavalese sono al limite e che i decreti «dovrebbero essere applicati con buonsenso» magari «mostrando un atteggiamento più umano». La questione è di grande attualità perché, dopo tanto tempo, le persone che finora hanno resistito in casa si trovano spesso a fare i conti con la crisi economica, con un lavoro che non c’è più. E una multa di 400 o 500 euro viene vissuta come l’ennesimo torto.
È questo ciò che il sindaco ha detto al comandante e ai suoi agenti invitandoli ad un atteggiamento più morbido.
Monica Basso si dice provata dalla malattia ma anche dall’assenza di umanità. «Tanta gente ti guarda come se avessi la peste... E poi certi episodi fanno male. Si parla tanto di ?Festa della Liberazione? ma è qui e ora che dovremmo dimostrare che ci crediamo». Lo scrive nella sua lettera: «Come l’aggressione del nazifascismo sull’umanità, cosi’ la pandemia ci colpisce, tutti e ci impone quindi una riflessione sincera sulla meschinità e l’immoralità di ogni potere oppressivo. Occorre comprendere e far comprendere che per tutelare il diritto alla vita e alla salute occorre anche un impegno a contrastare le ingiustizie sociali che opprimono la stragrande maggioranza dell’umanità, ed agire di conseguenza.
Così, il 25 aprile è anche il richiamo a restare fedeli ai principi e ai valori della Costituzione della Repubblica italiana, che è il lascito maggiore della Resistenza, la prima difesa delle nostre libertà. Abbiamo smesso di lottare per liberare la comunità dalle ingiustizie e ci siamo rifugiati in questo status individualistico, figlio di una struttura di potere che riproduce le disuguaglianze in maniera virulenta. Scegliamo quotidianamente di non rischiare, di non alzare la voce contro un sistema che è ingiusto e che fa soffrire milioni di persone perché siamo costantemente impegnati a difendere il nostro benessere. Se l’oppressione, le disuguaglianze, la marginalizzazione e l’individualismo sono quindi i tratti distintivi del mondo d’oggi, è evidente che non potremmo essere più lontani di così dalla visione che i partigiani avevano del futuro che doveva nascere dalla Liberazione».