Rubate 300 piante di canapa alimentare
Se dovessimo usare l’ironia diremmo: «Fumatori di canne, attenzione, perché potrebbe arrivare sul mercato una partita di canapa falsa. Non fa sballare».
Ma in questo caso è meglio non usare l’arma dell’ironia. Siamo a Ragoli, comune di Tre Ville, Busa di Tione, al centro delle Giudicarie. Piccolo paradiso, volendo infiorarla: guarda lassù il Brenta, fai un salto a Iron, il villaggio disabitato dai tempi della peste! Ma non siamo un dépliant pubblicitario e mettiamo i piedi sulla nuda terra.
La notizia in verità non è nuova, ma Stefano Defranceschi è uomo non abituato a lamentarsi o a fare chiassate, anche se ne avrebbe il diritto. Ha sopportato e se l’è messa via, finché qualche amico l’ha raccontata e allora ha accettato di spiegare cosa è successo.
Diciamo subito che Stefano fa l’agricoltore, ma con una filosofia sua: niente coltivazioni intensive, niente diavolerie tecniche o chimiche; tutto naturale. Così pianta un piccolo podere a canapa. «Canapa alimentare», precisa subito.
Una mattina va a controllare la situazione e... sorpresa. «C’è il prato.
Non c’è più nemmeno una pianta. Hanno lasciato i bacchetti tagliati all’altezza del ginocchio. Non è stato il cervo col coltello». Strabuzza gli occhi.
Domanda inutile: chi può essere stato? «Se fosse un ragazzino se ne prenderebbe quattro o cinque piante - commenta - ma trecento piante...». Trova il modo, lui sì, di ironizzare: «Qualcuno la vende per erba da fumare, invece è solo erba alimentare; fa i soldi. Il bello è che se lo prendono non gli possono fare niente, perché non spaccia droga».
Torna serio: «A vederla è uguale a quella allucinogena», e si addentra in particolari tecnici fatti di sigle, che lasciamo scorrere via.
Vedere scomparire un campo: una pugnalata nel cuore di Stefano. «Già, ma non è l’unica». Nonostante tutto ha la serenità nella voce. «Un giorno sparisce una carriola, un giorno le galline... Rubare ai poréti, siamo messi male».
Poi c’è la storia del mais. Stefano ha un campo lungo la pista ciclabile. Ognuno che passa tira giù una pannocchia.
Sembra una stupidaggine, ma alla fine, «perdi mille euro di qua, mille euro di là... Passano mille persone sulla ciclabile, ognuna si raccoglie la sua pannocchia, e Stefano farina non ne fa. Il fatto è che non c’è più rispetto. Che ci vuoi fare?».
In questo catalogo delle cose brutte ci sono pure le galline. Una mattina Stefano ha trovato il lucchetto del pollaio rotto e cinque galline scomparse. «O al mattino non hai un cavolo da fare, quindi puoi girare di notte, o ce l’hai con me. Vai alle scorte agrarie e con qualche decina di euro te le comperi, o no? Fra l’altro è furto con scasso, che se li prendono...».
Qualche anno di galera, come meritano i ladri di polli nell’Italia dei potenti impuniti.
Il danno in sé non è grave, ma Stefano ha un modo tutto suo di allevare le galline, ala vecia, come dice lui: ha allevato i pulcini, ha fatto il pollaio mobile per spostarsi e portarle al pascolo nei luoghi giusti. «Poi viene uno e te le ruba. Mi chiedesse cinquanta euro... Glieli do e gli dico: vai a comperarti le galline».
C’è una conclusione? «Finirà che metto la fototrappola», esclama Stefano Defranceschi. Starà scherzando o farà sul serio?