San Lorenzo in Banale, una folla per l'addio a Zeffiro Bosetti
Dolore immenso e chiesa strapiena per l'ultimo abbraccio all'artigiano di 59 anni rimasto vittima di un incidente mercoledì scorso. L'intera comunità si è stretta alla moglie e alle figlie di un uomo di grande generosità e dedizione al lavoro
LA TRAGEDIA Schiacciato dal furgone che stava riparando
SAN LORENZO IN BANALE. Sotto un cielo pesante come la tristezza la gente si raccoglie fuori dalla chiesa di San Lorenzo in Banale. Perché dentro non c'è più posto: banchi pieni e gente in piedi. Il coro e l'organo intonano i canti; don Luigi celebra con accanto don Gianni.È Venerdì Santo e che Vangelo si poteva scegliere? A quest'ora, più o meno (le tre del pomeriggjo), lo ricorda il sacerdote, "si compiva il sacrificio". Allora sale l'invocazione: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Ma tre giorni dopo (la speranza deve trionfare) c'è la resurrezione. Perché il Venerdì si fece buio, ma poi dal sepolcro fu tolta la pietra.
E la speranza riguarda Zeffiro Bosetti, il cinquantanovenne rimasto vittima dell'incidente che lo ha tolto agli affetti dei cari. Però anche la lettura di Paolo ai Corinzi è all'insegna della speranza: "Chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà".I richiami di don Luigi al Venerdì Santo sono inevitabili per parlare di Zeffiro. Perché quando accompagni nell'ultimo viaggio un amico, un conoscente, un paesano, lo fai in silenzio, facendo una riflessione, in meditazione.
«Zeffiro non era mai fermo - pronuncia don Luigi - e ha dato tanti anni di lavoro instancabile; ha donato le competenze di un artigiano, anzi, di un artista». Parole non formali, a ricordare uno che (per dirla con la lettera di San Paolo) ha seminato con larghezza. E la chiesa strapiena è lì a testimoniare, semmai ve ne fosse bisogno, che sono in molti a ricordare quel falegname che per anni ha gestito la sua azienda, insieme al fratello Lucio.
Quando si dice il destino... Zeffiro è andato in pensione da pochi mesi. Non gli è stato dato il tempo di godersi la sua montagna, la famiglia (moglie Marisa, figlie Valentina e Karen), il nipote Giuliano che va avanti con la falegnameria.Quel pistone idraulico che avrebbe dovuto tener su il cassone del camioncino e che invece è crollato gli ha tolto la vita.Non è mancato il pensiero della famiglia, letto in una lettera a Zeffiro da un'amica a nome della moglie e delle figlie.
Una lettera che evoca «il sorriso e lo spiccato senso dell'umorismo», che racconta della falegnameria, «orgoglio e realizzazione di un sogno: la seconda casa»; che ricorda il maso in montagna, «a Jon, dove ti rigeneravi». «Non ci hai mai fatto mancare niente e ci hai insegnato l'importanza del rispetto e della parola data».Dalla lettera traspare un amore vissuto in silenzio, ma "immensamente". E traspare la personalità dell'uomo tutto d'un pezzo: «Ti ricorderemo sempre con gli scarponi e la camicia a quadri».
E non possono dimenticare le sue donne la più classica delle frasi dell'uomo impegnato nel lavoro e nella vita: "No ghe temp da perder!". Se n'è andato così, rapidamente e tanto all'improvviso, Zeffiro Bosetti, quasi rispettando la sua filosofia: «Non c'è tempo da perdere».
Attorno alla famiglia si è stretta la moltitudine, un po' perché nei paesi ci si conosce tutti, ma soprattutto perché Zeffiro Bosetti era conosciuto da molti fra le Giudicarie e l'altopiano della Paganella.