Giudicarie, nasce la Comunità che crede nel vino: crescono gli ettari coltivati
Molti conferiscono a Toblino e Cantine Ferrari, ma negli anni sono cresciuti i vignaioli indipendenti che cercano spazio
GIUDICARIE. Dove si può celebrare il battesimo di una Comunità del vino? La risposta appare scontata: "In una cantina". Quasi azzeccata. A battezzare la nascita della Comunità del vino delle Giudicarie i genitori e i testimoni si sono incontrati nell'agriturismo "Filanda de Boron", nella parte alta di Tione, là dove ci sono anche la cantina e il vigneto. Gran cerimoniere Flavio Franceschetti, presidente di Slow Food Giudicarie.
Obiettivo della Comunità: valorizzare e diffondere i prodotti vitivinicoli delle Giudicarie e promuovere la cultura del vino stimolando un modello di agricoltura rispettosa del territorio. Ciò detto, bisogna fare un passo indietro e tornare al 2022, quando un gruppo di vignaioli giudicariesi decise di dar vita ad un'associazione denominata "Giudicarie in bottiglia".
Motivo: promuovere il vino prodotto qua, in una terra che non sarà baciata dalla tradizione vinicola, ma negli ultimi anni ha visto una piccola esplosione di impianti. A sentire il sindaco di Fiavé, solo nelle Giudicarie Esteriori ce n'è un'ottantina di ettari, anche se è necessario distinguere: la maggior parte è rappresentata da vigneti "conto terzi", per usare un termine dell'industria. Nel senso che si producono uve di qualità per vini pregiati: chardonnay per Trentodoc, per esempio.
Conto terzi, perché sono vigneti di giudicariesi da conferire a cantine come Toblino o Ferrari. Ma c'è anche chi ha scommesso in proprio, come i Lunelli con i 20 ettari nel comune di Stenico. Non solo Giudicarie Esteriori. Sono nate, infatti, due cantine in Rendena, riscoprendo una tradizione che si era persa nelle nebbie del tempo, mentre nel Chiese è nato un vino apparentemente autoctono (in realtà frutto della ricerca di laboratorio della Fondazione Edmund Mach) chiamato Clisium, nome antico del fiume che solca la valle.
Venendo ai pionieri, il primo a partire (nel 2007) fu Nicola Del Monte, nella Busa di Tione, prima a Preore, ora tutto nei pressi della ex filanda del Settecento: quasi due ettari di vigne resistenti (quelle che non hanno bisogno di trattamenti). Poi arrivò Luca Caliari di Santa Croce del Bleggio, con "Cavìc", soprannome di famiglia confuso dall'impero del vino trentino Cavit come un tentativo di concorrenza. Caliari non si è scoraggiato e non ha voluto fare polemiche: va avanti con la sua cantina, che oltre a sfornare vini eccellenti diventa anche spazio di incontri e degustazioni.Quindi abbiamo i due rendeneri.
Dal 2018 è arrivato Paolo Pangrazzi, Maso Roèra di Pelugo, poco più di un ettaro coltivato con vigne resistenti. Poi c'è Riccardo Collini, con "Il Petar" di Mortaso, che ha recuperato nel 2010 un terreno lasciato andare da un secolo, rifacendo muri a secco, non senza fatiche burocratiche. Vini? I resistenti: Solaris e Souvignier Gris, oltre ad un appassimento di merlot. Infine c'è Cesare Berasi, che al battesimo non era presente, ma in cantina c'è, e produce Levy, un Trentodoc.
Ma cosa significa fare Comunità? Promuovere la cultura del vino stimolando un modello di agricoltura rispettosa del territorio. Con l'impegno ad operare con gli enti locali; operare in sinergia con i servizi e gli enti che valorizzano il territorio in un quadro di economia eco compatibile; diffondere l'immagine e la conoscenza dell'associazione attraverso iniziative promozionali, campagne di informazione, gestione di centri di informazione, azioni di commercializzazione e di rappresentanza.