Sulla fusione Faedo si spacca e il 22 maggio si vota
Doveva essere una serata informativa sulle fusioni e le gestioni associate. Ma a Faedo, come già in passato, le serate sulle fusioni sono sempre sangue e arena, tumultuose come la Rivoluzione francese. Così alla fine di tre ore intense di sudore, urla, appelli alla ragione e dita puntate, l’assessore provinciale Carlo Daldoss riassume: «Ho capito che a Faedo la fusione con San Michele all’Adige non la voterete, e vorrà dire che dal 23 maggio vi dovrete accordare con San Michele per le gestioni associate. Mi pare chiaro».
Ma ai faedoti questo non basta. Con sceneggiate degne del melodramma napoletano saltano su a chiedere «perché siamo obbligati alla fusione o alla gestione associata? Chi lo dice? Non possiamo restarcene per conto nostro?»
Per Daldoss, che vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, vuol dire che «siete una comunità viva, che ci tiene alla propria storia». La verità è che Faedo rischia di pagarla cara, così come gli altri piccoli comuni «ribelli», da Sfruz a Samone. La tentazione di rimanere lassù e guardare San Michele dall’alto in basso è forte, ma la realtà di Faedo è quella di un malato cronico: niente bar, niente negozi, niente medico, nemmeno il parroco c’è più, i bambini vanno già a scuola in fondovalle. Ma i faedoti sono orgogliosi, cocciuti e spaccati in due.
Lo ha dimostrato la clamorosa elezione comunale di due anni fa che vide fallire il quorum, e arrivò il commissario. Una frattura che ha segnato poi tutta la storia recente: «Se siamo costretti ad una fusione per aggregazione, senza nemmeno poter mantenere il nome di Faedo nel nuovo Comune - sbotta a un certo punto un censito - è colpa di chi volle quella astensione e il commissariamento. Oggi se ne assuma le responsabilità».
Il 22 maggio si va al voto. La sindaca di San Michele Clelia Sandri cerca con pazienza di spiegare il suo punto di vista: «Io ovviamente parlo per San Michele, non posso parlare per Faedo» edordise. E subito un energumeno da fondo sale urla: «E noi de San Michel no volen sentir parlar». Tanto per spiegare il clima. Leoni nell’arena, guerriglia interna e numerosi ex sindaci ed ex assessori a scaldare la colla.
In più, arrivano gli agit-prop da fuori: quelli del comitato di Smarano che contestano la fusione di Predaia: vengono a dire che «con la fusione noi non contiamo più niente, non ci ascoltano, non credete alle promesse che vi fanno». Tacendo accuratamente i vantaggi della fusione (più servizi, più soldi, meno tasse). Ma anche questa è propaganda; anche questa - come dice Daldoss - è «politica».
La serata - in una sala delle ex scuole gremitissima di gente - termina con nessuno soddisfatto e tutti su di giri. Daldoss era partito a mostrare belle diapositive e si è trovato - metaforicamente - «a farsi strada nella grassa». Il sindaco di Faedo Carlo Rossi ha ripetuto per tutta la sera l’unico ritornello che poteva cantare: «Ho portato il mio paese al referendum, non c’è niente di più democratico, decida la gente», lavandosene sostanzialmente le mani come Ponzio Pilato. E persino la vicesindaca Viviana Brugnara storce il naso e dice che «senza garanzie di rappresentanza nella nuova giunta io sarei contraria alla fusione». Garanzie che nessuno - per legge - può darle.
Domenica 22 maggio Faedo voterà no alla fusione. San Michele, per questo, potrebbe rimetterci un bel po’ di soldi perché con la fusione arriverebbe il piano di miglioramento finanziato dalla Regione. Tutto è perduto? Forse no: «Vedrà che il 22 vincono i “sì” mi sussurra nel buio del cortile un imprenditore della zona. Si dice disposto a scommettere mille euro. Io accetto, magari mi va anche bene. Ma invece di mille euro, scommettiamo una bottglia di Teroldego. Di Faedo, naturalmente.