Una mini-discarica di vestiti a Sornello: interviene la polizia

 È una mini discarica a cielo aperto, quella fotografata in località Sornello da un abitante di Lavis.
Una mini discarica su terreno privato, cresciuta nei giorni scorsi accanto a una campana azzurra destinata alla raccolta degli indumenti usati, gestita da non si sa chi.
Non è la prima volta che accade ma ieri mattina la Polizia locale di Lavis si è messa in moto, avviando un procedimento nei confronti del proprietario del terreno su cui il cassonetto è ospitato. Già, perché per legge il privato è responsabile di quanto avviene sulla sua proprietà, a meno che non provi che il deposito è avvenuto «a sua insaputa» (cosa di cui in Italia siamo specialisti...) o di non aver potuto fare nulla per evitare lo spargimento di rifiuti. Sempre che i vestiti usati possano essere considerati rifiuti. 
 
Ma facciamo un passo alla volta. Il Comune di Lavis, a fine 2016, aveva inviato una nota ai proprietari delle aree sulle quali erano posizionati i punti di raccolta gestiti da società private, segnalando loro l’inopportunità di mantenerli e le possibili responsabilità, anche penali, in cui potevano incorrere nel caso di smaltimenti illeciti. Il risultato fu che tre aree furono liberate, altre tre no. Ora, dunque, sul territorio di Lavis ci sono tre campane per la raccolta degli indumenti (una bianca, una rosa e una azzurra): una a Sornello, una a Nave S. Felice e una in corrispondenza di un sottopasso della tangenziale.
E queste campane rappresentano un bel problema, «soprattutto quella al Sornello», sottolinea l’ispettore Nicola Nardin della Polizia locale. Nei giorni scorsi la Polizia è però intervenuta: «La procedura prevede che al proprietario del terreno vengano assegnati alcuni giorni per la presentazione di una memoria, ma se non prova di essere assolutamente estraneo all’accaduto (perché era assente durante lo smaltimento abusivo o perché non ha potuto impedirlo), viene emessa un’ordinanza da parte del sindaco per la rimozione, entro pochi giorni, dei rifiuti. Se il proprietario non ottempera, viene denunciato, e il Comune interviene imputandogli le spese». Denuncia di tipo penale, quindi. 
E il gestore della raccolta, invece, cosa rischia? Praticamente nulla: «Purtroppo - conclude Nardin - non sappiamo neppure chi siano le società coinvolte, perché sulle campane non c’è alcun identificativo».
Ma chi si occupa di smaltimento di rifiuti non deve identificarsi? Certo, e la legge 166 del 2016 all’art. 14 dice che «i beni che non sono destinati a donazione o che non sono ritenuti idonei a un successivo utilizzo» devono essere trattati come rifiuti. Ma se non si conosce neppure il nome di chi li raccoglie, e se non si può accedere alle campane per vedere in quali condizioni siano i vestiti smaltiti, è un po’ complicato sapere se questi siano ancora «beni» oppure «rifiuti». «E se sono beni - dice Nardin -, la normativa sui rifiuti non è applicabile».
 
In attesa di chiarezza, se mai arriverà, meglio portare gli indumenti dismessi ad Asia. Alessio Comper, funzionario della società che si occupa di smaltimento dei rifiuti per Lavis e i comuni della Rotaliana, spiega: «Le nostre campane per la raccolta degli indumenti sono le uniche in regola: si trovano nei Crm sorvegliati dagli addetti o su suolo pubblico, in alcuni comuni serviti da noi. Non abbiamo mai problemi di accumulo, perché una volta alla settimana provvediamo allo svuotamento». In più, il circuito di smaltimento è controllato: le società che ritirano il vestiario usato, conferito ad Asia, sono la Nord Recuperi di Senago (Milano) e la coop Il Sole di Padova.

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