Carissimo scappellotto: licenziato (e poi reintegrato) per un saluto
L’azienda dovrà anche dare al suo dipendente 12 mensilità a titolo di indennizzo, versare i contributi e pagare le spese legali di controparte. In totale quasi 40mila euro
MEZZOCORONA. Uno scappellotto, un colpetto bonario - ma fastidioso - sulla nuca rischia di costare carissimo all'operaio che lo ha dato, ma ancor più al datore di lavoro. L'azienda, infatti, ora deve reintegrare il dipendente con tanto di indennità risarcitoria perché il Tribunale ha stabilito che lo scappellotto in questa caso è un fatto «giuridicamente inesistente», anche se gravido di conseguenze per i protagonisti di questa particolare causa di lavoro.
L'operaio dal 2002 è dipendente della Sepr spa, azienda con stabilimento a Mezzocorona che produce materiale refrattario per forni industriali. Il dipendente l'11 dicembre 2019 riceve una lettera di contestazione: «In data 9 dicembre 2019 alle ore 13.55 all'interno del perimetro aziendale, lungo il corridoio del reparto sala stampi, Lei colpiva deliberatamente sul capo il signor (omissis) dipendente della Cooperativa (omissis) cagionandogli un trauma». L'operaio risponde di non aver colpito nessuno, precisa di aver dato uno scappellotto al collega come «gesto scherzoso di saluto».
La giustificazione, però, non convince l'azienda: il procedimento disciplinare si conclude con una lettera di licenziamento notificata il 2 gennaio 2020. Lo scappellotto, o colpetto sulla nuca che dir si voglia, viene considerato dal datore di lavoro «atto ingiustificato e violento», «grave infrazione alla disciplina del lavoro ed ai principi etici» perseguiti dalla datrice di lavoro, fatto «di gravità tale da ledere definitivamente il vincolo fiduciario che costituisce il presupposto di qualsiasi rapporto di lavoro».Il lavoratore non ci sta: assistito dal sindacato Uiltec e dagli avvocati Stefano Tomaselli e Attilio Carta impugna il licenziamento. Il giudice Giorgio Flaim dà loro ragione.
A seconda dei testimoni, lo scappellotto diventa «un colpetto», «una manata o qualcosa di simile», «una botta» e persino «un pugno». Determinanti in favore dell'operaio licenziato sono due circostanze. Il collega indossava un casco protettivo inoltre, a detta di tutti i testimoni, non c'era stato alcun diverbio tra i due. Emergono dunque «indizi, gravi precisi e concordanti della veridicità dell'assunto di parte ricorrente secondo cui il suo comportamento consistette in un "gesto scherzoso di saluto"».
Inoltre l'addetto della cooperativa inizialmente non disse di avere dolore al collo, tanto che il giorno successivo si presentò regolarmente al lavoro. Solo poi andò dal medico di base che fece un certificato di malattia con prognosi di tre giorni per "cervicalgia". Il giorno successivo al S. Chiara l'esame radiologico evidenziò una artrosi che però «nulla ha a che fare con un episodio violento».
Scrive il Tribunale: «Il licenziamento è stato intimato dalla società Sepr Italia per un fatto disciplinarmente irrilevante e, quindi giuridicamente inesistente, qual è il gesto commesso dal lavoratore nei confronti di (omissis)». Il contratto nazionale di lavoro prevede sì il licenziamento senza preavviso in caso di diverbio litigioso, seguito da vie di fatto, avvenuto nel recinto dello stabilimento e che rechi grave perturbamento alla vita aziendale, «mentre nel caso in esame - sottolinea il giudice - non sussistono né il diverbio litigioso, né il grave perturbamento alla vita aziendale e, a ben vedere, neppure le vie di fatto propriamente intese».
Comunque lo si voglia vedere, lo scappellotto ha avuto conseguenze pesanti (quindi meglio evitare saluti che possono essere fraintesi) soprattutto per il datore di lavoro. Il licenziamento è stato infatti annullato per difetto di giusta causa. La società datrice è stata condannata al reintegro dell'operaio; dovrà inoltre pagare a favore del ricorrente un'indennità risarcitoria commisurata a 12 mensilità. La società dovrà anche pagare i contributi previdenziali nonché le spese di giudizio di controparte. Il contenzioso sin qui è costato una cifra vicina ai 40.000 euro. Questo sì è un scappellotto doloroso.