Megavilla sotto sequestro «Invade l'area agricola»
La villa non è ancora terminata ma già c’è uno stop forzato ai lavori. Sull’edificio, del valore di 700mila euro, sono stati messi i sigilli perché in parte costruito in zona agricola. Sia la polizia locale sia gli uomini del Corpo forestale dello Stato sono concordi: quando venne richiesta la concessione edilizia, nel 2011, era stato rappresentato agli uffici comunali uno stato dei luoghi differente da quelle reale, con una variazione della linea di confine fra le due particelle che delimitavano l’area agricola da quella edificabile.
Insomma, si tratterebbe - ma sono accuse tutte la provare - di una villa esclusiva ma anche abusiva, a Bolentina, nel comune di Malé. Nell’agosto scorso, valutate le richieste della pm Maria Colpani, il gip Marco La Ganga firmò il decreto di sequestro preventivo della villa.
Ieri si è aperto il processo a carico del committente nonché progettista e direttore dei lavori, e del legale rappresentante della società che ha eseguito le opere. I testimoni dell’accusa, in primis gli agenti della polizia locale che effettuarono i riscontri sull’abuso ed il tecnico incaricato dal Comune, sono stati sentiti dal giudice Giuseppe Serao in un’udienza durata oltre tre ore. Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 27 maggio quando verranno sentiti i testimoni della difesa.
Il committente dei lavori, difeso dagli avvocati Stefano Ravelli e Mario Bonazza, è accusato di aver ottenuto in modo fraudolento dal Comune di Malé il rilascio delle concessioni edilizie per la costruzione di due edifici residenziali in due particelle edificiali: avrebbe dichiarato che si trattava di area residenziale, ma in realtà le due ville (una terminata nel 2012 e venduta, l’altra sequestrata) sarebbero sorte in area agricola almeno per il 30% (per tre metri), in modo addirittura difforme dalla stessa concessione al punto da invadere - secondo le perizie - un’area soggetta a tutela paesaggistica e ambientale (per due metri). In tal modo l’imprenditore - questa è la seconda accusa a cui dovrà rispondere - avrebbe indotto in errore i componenti della Commissione urbanistica comunale, che avevano dato il via libera al progetto.
Nella richiesta di concessione del 2011 l’imputato avrebbe dunque modificato la linea di confine fra le due particelle, spostandosi verso nord. Il cippo di confine non è visibile nonostante le due particelle siano entrambe di proprietà della società del committente dei lavori e dunque, come sollevato dall’accusa, non vi sarebbe interesse da parte di estranei a rimuovere tali indicatori. Secondo il pubblico ministero, nella domanda di concessione edilizia non ci sarebbe un mero errore colposo nella progettazione, ma si tratterebbe di un’operazione preordinata a tavolino. Di qui, come aveva valutato il gip, la concessione «è da ritenersi ideologicamente falsa e perciò rilasciata illegittimamente». A processo anche il rappresentante della società che eseguì i lavori, che ha affidato la sua difesa all’avvocato Vanni Ceola.