Disastro di fango a Dimaro per la morte di Michela Ramponi quattro indagati dalla Procura
La colata di fango che il 29 ottobre dell’anno scorso invase Dimaro seminando morte e distruzione ha portato con sé anche strascichi giudiziari. La procura di Trento ha infatti aperto un’inchiesta ipotizzando i reati di omicidio colposo per la morte di Michela Ramponi (inghiottita dal fango nella sua casa di via Gole) e di disatro colposo (per la precisione articolo 449 del codice penale, delitti colposi di danno). Gli indagati, a cui nei giorni scorsi la procura ha notificato la richiesta di incidente probatorio (cioè di perizia che avrà poi valore di prova), sono quattro. I nomi: Roberto Coali (Provincia), Silvia Franceschi (tecnico), Stefano Devigili (ex capo della Protezione civile) e Andrea Lazzaroni (sindaco di Dimaro).
Al dirigente del Servizio bacini montani della Provincia Roberto Coali e all’ingegner Silvia Franceschi (responsabile del gruppo di lavoro a cui la Provincia affidò l’incarico di redigere uno studio sui rischi idraulici del rio Rotian) la procura contesta di aver omesso di proporre (l’ingegner Franceschi) e di realizzare (Coali) «opere di difesa idonee - si legge sul capo di imputazione - ad impedire l’evento». All’ex dirigente della Protezione civile della Provincia, Stefano Devigili, e al sindaco di Dimaro, Andrea Lazzaroni, (indagati solo per omicidio colposo) la procura contesta ipotetici ritardi nel lancio dell’allarme rosso e nell’evacuazione della popolazione esposta all’esondazione del rio Rotian.
Va sottolineato che le accuse sono ancora tutte da dimostrare. L’iscrizione nel registro degli indagati non è una prognosi di colpevolezza, ma un atto a garanzia della persona sottoposta ad indagini che può così nominare un difensore e, in caso di perizia, indicare propri consulenti tecnici.
È chiaro sin d’ora che il procedimento penale, soprattutto per Coali e Franceschi, si giocherà su un terreno molto tecnico, verrebbe da dire idraulico. La procura chiede infatti al perito di stabilire «se in base alla miglior scienza ed esperienza sarebbe stato possibile predisporre un sistema di opere a difesa dell’abitato di Dimaro che avrebbe impedito con certezza o alto grado di probabilità razionale, la frana che ha portato all’esondazione del rio Rotian o comunque avrebbe incanalato l’esondazione in modo da renderla non pericolosa, specificando quali opere sarebbero state necessarie per impedire l’evento».
La pericolosità del rio Rotian in caso di forti precipitazioni è nota da secoli. Negli anni ‘70 vennero realizzate 16 briglie, la prime sette senza armatura metallica, le successive otto in cemento armato. Nel 1993 il Servizio bacini montani costruì un’ulteriore briglia di tipo filtrante. Nel 2010 la Provincia affidò al’ingegner Franceschi uno studio sul rio Rotian finalizzato alla mappatura delle zone di pericolo. Lo studio mise in evidenza una «propensione ad eventi di colata detritica e la pericolosità degli insediamenti sul conoide». La professionista indicava anche dei possibili interventi idraulici per ridurre il pericolo. Il Servizio bacini montani decise però di aderire alla proposta minore, quella che si poteva realizzare «con un investimento limitato». Venne dunque realizzata un’altra griglia filtrante. «Il giorno della frana - sottolinea la procura - questa briglia non era ancora stata collaudata come non erano mai stata collaudate le briglie degli anni ‘70 e quella del 1993.
Nella notte del 29 ottobre le opere di difesa collassarono di fronte ad una colata detritica che portava con sé 150 mila metri cubi di sassi e fango. Tutte le briglie furono travolte ad eccezione di quella appena completata che ha resistito evitando un disastro ancor peggiore.
Si poteva prevedere un tale evento? Potevano essere costruite difese idrauliche che mettessero al sicuro l’abitato? La risposta spetta ai giudici, ma anche ai periti che saranno nominati nelle prossime settimane. La procura mostra di avere qualche dubbio sulle opere realizzate (o non realizzate) a Dimaro. «Non è ammissibile - scrive il pm - leggere ex post nella relazione dei bacini montani che il collasso delle briglie degli anni ‘70 è stato determinato anche dalla “probabile parziale monoliticità delle opere, per i limiti della tecnica costruttiva impiegata” e pensare però che si sia dovuto attendere il disastro per giungere a questa conclusione».
La tempesta Vaia è stata un evento eccezionale con precipitazioni di straordinaria intensità. Lo conferma la stessa procura che ha acquisito i dati meteo da cui emerge che a Dimaro erano caduti 352 mm di pioggia in 72 ore di cui 35 mm tra le ore 18 e le 20. Piogge intense, ma precipitazioni superiori avevano colpito altre aree del Trentino flagellate da Vaia (negli stessi tre giorni a Pian delle Fugazze caddero 627 millimetri e a Passo Cereda 604).
Il dato certo è che a Dimaro quella sera si scatenò l’inferno. La procura vuole anche verificare se gli allarmi alla popolazione vennero dati in tempo. Su questo fronte sono finiti sotto inchiesta due degli uomini che quella notte erano in prima linea a lottare contro Vaia: l’ex capo della Protezione civile Devigili e il sindaco Lazzaroni. Al primo si contesta un ipotetico ritardo nell’allerta elevata (rossa) «che fu data solo il 28 ottobre alle 12 e 15 sostituendo il precedente avviso di allerta moderata (arancione)». Il secondo avrebbe disposto l’evacuazione di via Gole con ordinanza «quando l’evento franoso si era già realizzato». Entrambi respingono le accuse convinti di aver fatto il possibile per fronteggiare un evento drammatico.
Fiducia nella magistratura, ma anche rinnovata stima ai professionisti coinvolti ma anche al sindaco di Dimaro. È la posizione espressa dalla giunta provinciale a proposito dell’inchiesta sulla frana di Dimaro che coinvolge anche due stimati dirigenti provinciali.
«La Provincia - si legge in una nota - ripone la sua fiducia nell’operato della magistratura, ma al tempo stesso conferma la completa stima nei confronti dei dirigenti coinvolti dall’indagine nella consapevolezza che siamo in presenza di un settore, quello della gestione delle emergenze, codificato da procedure che vengono seguite con un’attenzione e responsabilità che si traducono in standard ampiamente superiori alla media».
Il presidente della Provincia Maurizio Fugatti ricorda l’impegno profuso da tutta la protezine civile per affrontare Vaia: «È stato un evento eccezionale e unico, quella sera anche se non ero ancora entrato in carica come presidente ero comunque con l’assessore Mellarini presso la centrale operativa. Ho potuto cogliere in prima persona la complessità dell’intervento e l’abnegazione dei soccorritori, ma anche del sindaco di Dimaro».
Un pensiero va anche a chi sotto il fango ha perso la vita: «Nella certezza che il dovuto approfondimento dell’autorità inquirente si risolverà positivamente per i professionisti coinvolti, la Giunta provinciale rinnova con grande rispetto la vicinanza anche a chi, a causa di quell’evento, ha dovuto pagare un altissimo prezzo».