«Il cyberbullismo ha ucciso mio figlio» Mattia fu minacciato e si tolse la vita L'appello del papà: «Ragazzi, fatevi aiutare»
«Parlarne, parlarne e poi ancora parlarne. Voglio che la storia di mio figlio sia di aiuto per chi, come lui, è stato una vittima. Se la sua storia riuscisse a salvare anche un solo ragazzo ne sarei molto contento».
È un papà coraggioso Guido Bezzi, un genitore che raccoglie tutta la sua forza per fare i conti con un dolore incommensurabile.
La perdita di un figlio giovane, nel pieno degli anni, che ha deciso di togliersi la vita perché colpito nell’animo, nei suoi sentimenti e nel profondo della sua dignità da un chissà chi incontrato sul web.
Era il 3 settembre scorso, quasi due mesi fa, quando Mattia ha scelto di lasciare la sua famiglia, suo padre, sua madre, suo fratello e sua sorella nel modo più difficile da capire.
Era un ragazzo come gli altri, un po’ introverso e taciturno ma al tempo stesso amante della compagnia e della vita. A 19 anni lavorava da due come aiuto cuoco nel ristornate il Mulino, in Val di Peio, un lavoro che gli piaceva molto. Ogni giorno dava una grande mano in famiglia occupandosi del pollaio e dei lavoretti domestici. Era un allievo del corpo dei vigili del fuoco volontari di Ossana.
Era ragazzo buono e generoso, «forse troppo» dice il padre. Aiutava i vecchietti del paese e con il migliore amico passava le ore ad ascoltare le storie di guerra, di fame e di altri tempi narrate dai nonnini. Era preciso, puntuale e meticoloso. Non lasciava mai nulla fuori posto.
Poi un giorno ecco crollargli il mondo addosso. «Quel giorno era andato in montagna con il suo amico. Da un momento all’altro la vita cambia».
Papà Guido racconta con tranquillità la storia di suo figlio. Sul suo volto, nei suoi occhi, nelle sue parole c’è tutta la sofferenza di una perdita straziante, ma non c’è odio o rancore per chi è stato la causa di quel male. «Mio figlio era vittima di un ricatto sessuale online su Facebook e su Instagram - spiega Guido - Ha accettato l’amicizia sbagliata di una ragazza, ma chissà chi si nasconde dietro al quel profilo, che credo non conoscesse neppure. Le ha mandato una sua fotografia e lei ha iniziato a ricattarlo. Chiedeva soldi per non diffondere delle immagini pornografiche, dei fotomontaggi che lo ritraevano. Mattia aveva un forte senso dell’onore e sapeva di essere stimato e apprezzato dalla comunità. Quando ha capito che questa gente stava iniziando a diffondere queste immagini, lui non l’ha sopportato. Il tutto è esploso in poche ore. Tutto per una banalità che poteva essere risolta con una denuncia. Stavamo chiacchierando sul terrazzo e a un certo punto ci dice che deve assentarsi per un quarto d’ora?».
Mattia, quel pomeriggio del 3 settembre, prende la bici e non torna più. Il padre si accorge della sua assenza il mattino seguente, a volte Mattia si fermava a dormire dalla nonna a Pellizzano. Scattano le ricerche e con esse anche le indagini della Polizia Postale, che sono ancora in corso: fin dalle prime ore, si fanno chiare ed evidenti le motivazioni. Fin da subito la comunità di Ossana si è stretta intorno alla famiglia. «Ma mi spiace quando vedo che la gente, per pudore, non mi chiede nulla - continua ancora papà Guido, tormentandosi quelle mani forti da falegname -. Mi fa molto più male non parlarne. Per questo, fin dal primo giorno racconto quello che è successo a mio figlio. Voglio che il suo gesto abbia una motivazione, possa essere utile a qualcuno. Ne parlo con i genitori e con tutti quegli adulti che sono a contatto con i ragazzi. Devono sapere cosa può succedere ai loro figli in internet. Devono informarsi, parlarne, stare sempre attenti. Non sono contro questi mezzi tecnologici, contro internet, i social o lo smartphone. Possono essere molto utili, ma dobbiamo fare sensibilizzazione. Dobbiamo dire a tutti, ai ragazzi, a chi è vittima di qualche abuso, che tutto si può risolvere. Si può denunciare. Dobbiamo far sapere che queste cose succedono anche qui da noi, nei nostri piccoli paesini, e non solo nelle grandi città. Sono tantissimi quelli caduti in questa rete - aggiunge ancora il papà -. Non sai quanti giovani si sono fatti avanti con me dopo che hanno saputo di Mattia. Quanti che mi hanno raccontato che stanno vivendo la stessa situazione, qui nella nostra valle. È un fenomeno più diffuso di quello che si pensa? Non voglio che la storia di Mattia vada persa. Voglio che si sappia il perché. Voglio che possa essere d’esempio. Per me è un grande omicidio. Un omicidio subdolo e vigliacco di chi non ci mette nemmeno la faccia. Non provo né rancore né odio verso queste persone - conclude il padre -: non credo che si rendano nemmeno conto del male che provocano agli altri. Se fossero qui, proprio davanti a me, non saprei nemmeno cosa dire a queste persone. Non posso cedere al rancore, ho già altro a cui pensare? Una volta che la giustizia avrà fatto il suo corso, per me sarà sufficiente».