Morto di Covid, il gip archivia: i parenti dell’anziano chiedevano di procedere per omicidio colposo
La famiglia dell'ospite aveva presentato un esposto ai Nas denunciando gravi lacune nella gestione interna alla casa di riposo perginese nel corso della prima ondata pandemica
COVID Il bollettino del 5 ottobre
TRENTO. Sono state archiviate le accuse di epidemia colposa e omicidio colposo a carico dei vertici e dei responsabili sanitari della Rsa Santo Spirito Fondazione Montel di Pergine. Il procedimento a carico di direttore della struttura e direttori sanitari, assistiti dall'avvocato Andrea de Bertolini, si era aperto nella primavera del 2020, quando il legale della familiare di un ospite della struttura, deceduto il 22 marzo di un anno fa, aveva presentato un esposto ai Nas denunciando gravi lacune nella gestione interna alla casa di riposo perginese nel corso della prima ondata pandemica.
Nel dicembre scorso sempre la famiglia dell'ospite deceduto, tramite il legale viareggino Fabrizio Miracolo, aveva chiesto un risarcimento di 800mila euro. Il 28 settembre scorso la giudice per le indagini preliminari Claudia Miori ha tuttavia accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, ritenendo condivisibili le argomentazioni poste a fondamento della richiesta. In particolare, il giudice ha rilevato come nella triste vicenda - simile a quella di tanti altri anziani morti nelle strutture assistenziali in Trentino come nel resto del Paese - a inizio pandemia (la vittima contrasse il virus il 15 marzo 2020) «vi fosse una situazione di assoluta incertezza di approccio scientifico alla materia».
Scientifico, e gestionale: la giudice specifica infatti, di fronte alla contestazione del legale riguardo al non corretto e adeguato uso delle mascherine in struttura, che «circolari ministeriali del 17 e del 29 marzo 2020 specificavano la necessità di preservare l'utilizzo di Dpi solo nei casi necessari vista la carenza a livello mondiale, utilizzando le mascherine solo nel caso di attività all'interno delle camere con pazienti positivi».
La giudice ha preso atto del fatto che nella fase iniziale del contagio i Dpi non fossero utilizzati rigorosamente, come rilevato dall'attività investigativa dei Nas, ma anche del fatto che nella struttura perginese la dotazione di Dpi agli operatori fosse avvenuta a partire dall'11 marzo, due giorni dopo la comparsa dei primi casi, datati 9 marzo. La situazione era tuttavia talmente complessa, sconosciuta e dal mutare rapidissimo che - prosegue il giudice «non è detto che anche con l'utilizzo dei dispositivi di protezione da parte del personale, gli ospiti poi deceduti non si sarebbero ugualmente malati di Covid-19».
Riguardo alla mancata ospedalizzazione contestata dalla famiglia, infine, la giudice ha evidenziato come fin dall'ingresso in struttura risultassero patologie pregresse, definendo un quadro nel quale non è possibile escludere che il Covid possa essere stata una concausa di morte. In base agli elementi raccolti, non è dunque possibile escludere che il decesso sarebbe potuto avvenire anche una volta trasferito in ospedale, circostanza in base alla quale - assieme alle altre - è stata disposta l'archiviazione.