L'appello di un giocatore: «Non prestatemi più soldi, finiscono nelle slot machine»
«Smettetela di prestarmi soldi. Non è vero che mi servono per pagare l'affitto, il mangiare, le bollette. Li uso per giocare alle macchinette». Mariano Zambotti, sessantenne originario di Fiavè, da una decina d'anni vive e lavora a Riva. Un lavoro onesto, anche ben retribuito, ma che finisce tutto nel vortice del gioco. Una malattia dalla quale ha deciso, finalmente, di uscire. Per farlo ha chiesto aiuto pubblico, mettendoci la faccia e la sua confessione, perché nemmeno con la terapia di gruppo riesce a "disintossicarsi". «Sono talmente bravo a farmi prestare il denaro dalle persone che conosco - confessa - che oggi desidero dir loro pubblicamente di non ascoltarmi quando dico che ho bisogno di soldi. Va tutto fagocitato in quel giro infernale dal quale non riesco più a uscire. Ho venduto una casa nel 2001, e in pochi giorni ho speso tutto il ricavato in una sala giochi. Bruciato, sparito. L'altra sera, ultima di una serie infinita, ho speso 8.500 euro in nemmeno tre ore. Non me lo so spiegare, quando entri lì diventi un altro e non capisci più nulla».
Mariano Zambotti non è uno sconosciuto. Già a Fiavè era nel mondo del calcio dilettantistico, sceso a Riva, per qualche anno ha collaborato con la Benacense come dirigente. Ha un lavoro che gli procura un buon stipendio ma insufficiente a colmare ciò che lui stesso definisce una vera e propria malattia. «Da quando ho iniziato a giocare, non mi sono più fermato - racconta ancora - ma oggi se ho deciso di parlarne pubblicamente è perché, prima cosa, non voglio più tradire la fiducia delle persone cui devo denaro. Tanto anche, chiesto con le scuse più assurde. Dal pagamento delle bollette alla spesa quotidiana, dall'affitto a qualche imprevisto. Basta, basta, basta. A tutti loro dico "non datemi più denaro"».
Mariano alle persone che gli hanno dato soldi dice che è sua piena volontà restituire, nel tempo, quanto prestato. Tutto sulla fiducia, senza ricevute o altro. Ne è perfettamente conscio, la sua è un'auto-accusa delle più spietate. Ci mette la faccia perché vuole dire pubblicamente che dopo tre anni di terapia di gruppo grazie all'Ama, l'associazione Auto Mutuo Aiuto di Trento che cerca di aiutare chi è entrato nella spirale del gioco d'azzardo, non ha risolto nulla. Non per incapacità di chi è preposto a farlo, anzi. «Loro sono eccezionali - dice - ci sono anche fuori dagli orari in cui andiamo a riunirci. Ma alcuni di noi, finita la riunione si ritrovano in sala giochi. È un incubo dal quale non so più come uscire. Ecco perché desidero che tutti sappiano la mia storia».
Mariano nella sua pubblica confessione è aiutato da chi gli sta vicino, dai colleghi e dal suo datore di lavoro in prima persona. Lo conoscono e lo stimano da sempre, perché è un ottimo lavoratore, e perché anche loro, inizialmente, credendo nelle difficoltà di tirare avanti gli hanno prestato soldi. Poi, una volta avuta la sua confessione invece di cacciarlo lo stanno aiutando. Come possono, ma è dura. «Io sono grato a loro per primo, perché posso ancora lavorare e avere il loro supporto. Mi sono confidato, mi hanno detto che dire tutto pubblicamente può essere la soluzione, allora mi sono convinto. Aiutatemi a smettere». Mariano chiede che gli sia fatta «terra bruciata» attorno, che nessuno gli presti più soldi, e probabilmente sarà affidato a un tutore che amministrerà il suo stipendio. La strada è ancora lunga, ma se è arrivato a questo c'è da credere che sia quella giusta per guarire.