Chiude il campo profughi «Immigrati via in autunno»
Chiude il campo profughi di Marco di Rovereto. Non nell'immediato (ci sono tempi tecnici da rispettare), ma la struttura in autunno verrà restituita alla Protezione civile. Lo assicura il presidente della Provincia Ugo Rossi. Intanto, proseguono le indagini sul dramma della giovane mamma vittima di uno stupro avvenuto nella notte tra venerdì e sabato a poche centinaia di metri dalla struttura di accoglienza: setacciata l'area della violenza, si cercano testimoni. Al Ris di Parla le analisi sui campioni del Dna degli ospiti del centro di Marco
Il centro di accoglienza dei profughi di Marco sarà restituito entro l'autunno all'uso esclusivo della Protezione Civile. Dopo l'annuncio di ieri, il presidente della Provincia Ugo Rossi detta i tempi dell'operazione; e bacchetta l'emotività che, sull'onda dello shock per lo stupro della giovane mamma di Marco, alcuni cittadini ed amministratori hanno dimostrato. Riferimento esplicito alle dichiarazioni del sindaco di Rovereto Andrea Miorandi, che ha avuto un giudizio pesantissimo su tutta la gestione dell'emergenza profughi da parte della Provincia. «Un giudizio - ha dichiarato Miorandi all'Adige - ben precedente alla violenza sessuale»
«Avevamo già valutato in giunta - spiega Rossi - che quella di Marco non poteva essere una soluzione definitiva e stiamo lavorando ad alternative. I tempi non potranno però essere inferiori ad alcuni mesi, quindi pensare che i profughi lascino Marco per l'autunno inoltrato è verosimile». Nessun accenno sulla futura destinazione dei richiedenti asilo, se non l'indicazione che la Provincia sta lavorando più sull'idea di un edificio che non su un altro sito «aperto» come il campo di Marco.
Fermo restando però che definire «disumana» la gestione dell'emergenza fin qui tenuta da Piazza Dante «mi sembra fuori luogo. L'emergenza è stata affrontata con civiltà e dignità. Invito ad andare a guardare che accade fuori dai confini della Provincia». Ritornando ai tragici fatti di Marco, Rossi sottolinea che «se fosse confermata la responsabilità di una persona ospite del campo è ovvio che questo causerebbe un allarme sociale più forte. Ma deve essere chiaro che le regole a monte di strutture come questa discendono da un livello superiore al nostro. E che qualsiasi fosse il colore del governo, i profughi sono sempre arrivati. Le regole non le facciamo noi, purtroppo. E il tema dell'integrazione e dell'occupazione di queste persone non è stato affrontato».
La convivenza tra i marcolini ed il campo andrà quindi avanti ancora per qualche mese, almeno. Intanto la raccolta firme per riassegnare il campo alla Protezione civile ha avuto un boom di adesioni: se nei primi mesi ha raccolto una trentina scarsa di nominativi, ieri il promotore, Tomas Debiasi, parlava di tante persone che lo hanno chiamato per partecipare alla petizione. Del resto, fino a venerdì sera, non si sono registrati problemi di convivenza coi profughi.
Ma oggi chi vive il paese, come il presidente della circoscrizione Carlo Plotegher, parla di gente «molto più che arrabbiata. Sono perplesso di fronte a tutte queste persone che ora parlano di situazione fuori controllo e gestione inappropriata. Io l'ho detto già tre anni fa: tenere a tempo indeterminato dei ragazzi di vent'anni scappati alla guerra e a paesi del terzo mondo in uno stato di inattività forzata, senza alcun controllo, è un azzardo. Basta un po' di logica per capirlo».
Ma per la maggior parte, lo stupro di Marco non ha sollevato logica. A poche ore dalla notizia, il web era già ricolmo di condanne sommarie e proclami violentissimi ai danni ora dei profughi ora dell'amministrazione pubblica, a tutti i livelli, dal capo dello Stato al sindaco. Uno spaccato non edificante. Eppure sarebbe bastato, a chiudere ogni sterile fuoco di polemiche, lasciare spazio all'unica persona che ha il diritto di dare giudizi: la vittima, la mamma stuprata. Una giovane donna capace, a poche ore dalla violenza, di invitare alla calma, a non fare di tutta l'erba un fascio; perché se anche il suo aggressore fosse un profugo, sarebbe solo uno su 70».