Dramma in Ucraina: ritrovato senza vita il corpo di Francesco Bava, dentista roveretano
Francesco Bava, dentista roveretano e storico sostenitore della Juventus (in maniera che per anni ha rasentato, simpaticamente parlando, la patologia), è stato trovato morto in Ucraina. Le cause del decesso, ufficialmente, sono arresto cardiaco ma la polizia del Paese dell’Est sta valutando altre ipotesi. Sul caso, insomma, aleggia un giallo che non a caso è seguito anche dall’Ambasciata d’Italia a Kiev.
Perché il sospetto che dietro la morte del professionista roveretano ci sia un omicidio è forte. In Ucraina, però, le autorità hanno calato un muro di silenzio, trincerandosi dietro il più assoluto riserbo. Per loro, in altre parole, il malore è la causa del trapasso e, d’altro canto, quale altra persona passa a miglior vita senza incappare in un arresto cardiocircolatorio?
Sapere di più, e la distanza è complice, è impossibile. Ma la causa non cambia la realtà che, detta in soldoni, ha privato la città della Quercia di uno dei meridionali più integrati che abbia mai conosciuto. Perché da buon calabrese Francesco Bava era guascone quel tanto che basta per fare gruppo. E non esiste al mondo una comunità che non sappia rimettere in saccoccia pregiudizi e razzismi velati di fronte alla socialità.
Il professionista di 65 anni - originario di Fabrizia in provincia di Vibo Valentia ma da anni trapiantato a Rovereto - si sarebbe recato in Ucraina nei giorni scorsi per acquistare materiale odontoiatrico. In città, d’altro canto, era uno stimato dentista che ha curato i denti a generazioni di roveretani. I suoi viaggi esotici, però, erano epici e nessuno ha mai saputo se fossero di lavoro o di piacere. A questo punto, però, poco importa. Rimane il grande vuoto che lascia soprattutto, in epoca di campionati europei di calcio, tra i tanti tifosi juventini. Perché Checco di club bianconeri ne ha aperti a gogo tra Rovereto e Mori, millantando amicizie e parentele financo con i nobili ex gestori dello Stato italiano Savoia.
La fine di un’esistenza forte - oltre ad essere dentista era pure socio delle Terme di Rabbi, dove l’acqua ferruginosa, ripeteva sempre, rianimava gli organi inguinali dell’uomo più pigro del pianeta - priva comunque la città della Quercia di una simpatica canaglia. Al quale era davvero difficile evitare un saluto e una battuta.
Francesco Bava, però, tornerà dall’Est Europa nel silenzio di una bara. E se il suo addio è colorato di giallo è solo un’ulteriore conseguenza del suo modo di vivere.
Il consolato italiano in Ucraina. comunque, sta seguendo la vicenda sulla quale sta indagando la polizia. L’ipotesi più accreditata dagli investigatori, come detto, è che si tratterebbe di una morte conseguente ad arresto cardiaco dovuto ad un uso eccessivo di farmaci anche se ancora non vi sono certezze.
Il mistero sulla morte del dentista 65enne, insomma, rimane intatto. E a rimarcare il giallo sono proprio le autorità dell’ex nazione sovietica che, di fronte ai dubbi sul decesso, alzano muri anziché sostenere le cause naturali, leggasi malore.
IL RICORDO
Chissà se barone lo era davvero o se questa era solo l’ultima delle trovate esilaranti con cui aveva riempito tutta la sua vita. Chissà se il leone dello stemma araldico aveva davvero a che fare con Annibale e con i Romani, come ci aveva raccontato quella volta, in una notte obliqua di ritorno da un’adunata degli alpini.
Ma in fondo cosa importa, e cosa importava, se quel titolo nobiliare che aveva fatto stampare sull’ultima edizione dei suoi cartoncini da visita era vero o non lo era.
Perché, alla fine, con lui, fra un cazzeggio e l’altro, ci stavi sempre bene e tutto passava in second’ordine.
Era un acrobata delle parole e dei nonsense ed era un giocoliere della notte: non potevi non sederti con lui quando lo incontravi e passarci un po’ di buon tempo.
E il tempo volava via fra coppe di champagne, mille sigarette bruciate fino in fondo e il racconto mirabolante del suo ultimo viaggio: in Brasile, a Cuba, in Olanda, in Romania, in Moldavia, in Ucraina. Ovunque.
Perché Francesco Bava, viaggiatore verso Paesi dai mille colori lo era davvero. Almeno uno o due voli intercontinentali all’anno se li faceva sempre.
E non si capiva, ma anche questo poco importava, se lo divertisse e lo gratificasse di più il viaggio in sé o il racconto avventuroso e romanzesco con cui poi riempiva le sue notti italiane, fra il Trentino, che lo aveva adottato 40 anni fa, e la Calabria dove era nato e dove tornava ancora spesso.
E dove ci sono ancora pezzi della sua famiglia d’origine.
Era arrivato a Rovereto dopo la laurea in medicina e chirurgia e la specializzazione in odontoiatria all’Università di Pavia.
Nella città della Quercia ci era arrivato per un amore roveretano. E poi ci era rimasto ed arrivarono altri amori. Del resto l’amore e le donne, insieme ai viaggi, al calcio e alle auto sportive, erano il filo rosso che colorava la trama complicata della sua vita; dell’uomo dell’estremo meridione d’Italia, nato in una grande famiglia della borghesia agraria e intellettuale del vibonese.
Ma nelle sue vene scorreva anche il sangue piemontese di un bisnonno inviato fra le montagne calabresi dai Savoia un secolo e mezzo fa a combattere il brigantaggio. Aveva i tratti e l’accento inconfondibili dell’uomo del Sud, certo.
Ma Francesco, il professore, il dottore, il barone, era un cosmopolita. Una specie di hippy «de’noantri». E che hippy. Soprattutto negli ultimi tempi, quando aveva cominciato a ringiovanire il suo volto con un elegante pizzetto alla D’Artagnan, che gli regalava quell’aria un po’ dandy e un po’ frikettona che lo rendeva ancora più simpatico del solito.
ll Trentino e la montagna oramai erano diventati la sua casa: a Rovereto faceva il dentista, in val di Sole aveva fatto il direttore sanitario delle Terme. E poi tanto altro ancora.
Era impossibile non essergli in qualche modo amico, magari anche solo per un attimo: perché Francesco sapeva trascinarti con simpatia dentro la bellezza avventurosa del suo universo fantasmagorico, un po’ reale e un po’ romanzato.
La sua dimensione era la socialità. Una socialità spontanea, gentile e quasi bambinesca che diventava quasi subito affetto e che lo faceva entrare in contatto con mille mondi.
Anche i più lontani da lui, dal suo carattere e dalla sua formazione. Era l’alpino più simpatico di tutti gli alpini del mondo, quando stava insieme alle penne nere: lui che una caserma degli alpini non la aveva mai vista nemmeno con il binocolo.
Ed era il leghista più simpatico di tutti i leghisti del mondo quando frequentava le sedi del carroccio e ti chiedevi cosa diavolo ci facesse uno come lui insieme ai nipoti di Alberto da Giussano. Ed era lo juventino più simpatico di tutti gli juventini del mondo. Perché la Juventus, - quanti club bianconeri abbia fondato nella sua vita non lo ricordo - insieme alle belle donne, alle belle auto, all’amore e ai viaggi era davvero il suo mondo. Un mondo colorato.
Un mondo da romanzo. Il mondo di Francesco, il Barone delle Serre e dei leoni di Annibale.
Tiziano Bianchi