Oggi l'operazione disinnesco almeno 2 mila gli ordigni inesplosi
Perfettamente riuscita l'operazione di disinnesco dell'ordigno bellico. Dopo un'ora e tredici minuti di meticoloso lavoro, la bomba è stata portata via, con i cittadini precauzionalmente evacuati che sono potuti ritornare verso casa intorno alle 12.
Era il 13 settembre del 1944 quando Rovereto subì il suo primo attacco aereo. Un bombardiere americano sganciò quattro bombe che colpirono le campagne di Sant'Ilario, dove diciotto persone erano corse a ripararsi. Diciotto vite spezzate.
Da allora, per un biennio, l'intera Vallagarina si trasformò in una sorta di discarica bellica, con caccia alleati ma pure tedeschi che vomitavano piombo e tritolo, acciaio e fosforo, sui manufatti e sulle campagne tra Borghetto e i Murazzi. Si calcola, a spanne però, che almeno mezzo milione di «pillole», alcune addirittura di mille libbre (anche se il conto ufficiale parla di 10mila, ma si riferisce solo ai raid americani e non contempla gli «svuotamenti» dei bombardieri in ritirata), siano state sganciate nell'epilogo del Secondo conflitto mondiale. E di queste, circa il 20% è finito a valle inesploso, fagocitato nel tempo dalla natura, dai cantieri, dai vari piani regolatori che hanno stravolto paesaggi e interventi pubblici in nome del progresso.
Negli anni Cinquanta del secolo breve, in verità, i ritrovamenti finivano spesso in Adige se non addirittura ricoperti e sotterrati nuovamente quasi fossero cadaveri da affidare alle fosse comuni. Ma nei grandi lavori che hanno portato un'intera valle in quella che la storia chiama modernità gli stop per bomba si sono susseguiti incessanti. Alcuni «dolorosi», in quanto a disagi, altri più morbidi con rimozioni e brillamenti in loco ma più volentieri sul Monte Zugna, trasformato suo malgrado in una polveriera per liberarsi degli scomodi «souvenir» della guerra.
Guerra che ha rifatto capolino, ma che con cadenza biennale torna a palesarsi, a mostrare al mondo che la macchina bellica non si nasconde dopo aver portato, a forza di distruzione e morte, la pace ma lascia i propri biglietti da visita.
E oggi la comunità ne «leggerà» l'ennesimo: 1.400 sfollati (tra Brione, Volano e Porte di Trambileno) e 18.876 cittadini costretti a tapparsi in casa manco passasse il famigerato «Pippo». Però la realtà è questa, quelle delle bombe da riportare in vita per «ucciderle» in una cava sperando di non imbattersi in una sorella. E gli artificieri, il Genio Guastatori degli Alpini, ormai ha preso la residenza qui. È gente esperta, per fortuna, che senza volerlo si mantiene aggiornata con corsi sul campo; anzi, nei campi della Vallagarina.
Il 15 novembre dell'anno scorso gli sfollati furono 6mila con altri 15 mila chiusi a doppia mandata nei propri appartamenti. Quello fu il secondo più grande esodo di Rovereto dopo il 1998. A fine millennio, in verità, ad abbandonare anche solo per una mattina le mura domestiche furono in 16 mila e la città rimase isolata dal resto del mondo: tutto chiuso, tutto bloccato, nemmeno le mosche avevano il permesso di girare.
Sotto i nostri piedi, comunque la si guardi, riposano ancora circa duemila ordigni. Certo, la maggior parte sono ormai innocui rottami ferrosi corrosi ma il rischio è sempre lì che annusa la possibilità di fare capolino. Ed è meglio evitarlo.
La bomba di Vallunga - la metà rispetto a quella di Sacco dell'anno scorso - dovrebbe comunque essere «Gp», nome tecnico del «confetto» da mille libbre che sta per «General purpose», obiettivi generali, multipli. Era il tipo di armamento standard dei B25 americani o degli aerei inglesi. Potevano essere di mille o 500 libbre, ed erano dotate di una spoletta in testa ed una in coda, dove sono situate delle alette che durante la caduta orientavano verticalmente la bomba portando il percussore a contatto con il detonatore, dinamica che avrebbe dovuto garantire l'esplosione toccando il suolo. Nel caso di quest'ultimo ordigno, l'obiettivo era una contraerea e, non a caso, non è spuntato in valle ma in collina.
Rimane però uno degli orrori della guerra. Orrori dei quali, come detto, anche Rovereto ebbe la sua tragica fetta. Soprattutto nell'arco di tempo tra il settembre del 1944 ed il 24 aprile 1945, quando la città fu costantemente sorvolata dai bombardieri alleati. Migliaia di esplosioni, centinaia di incursioni, allarmi aerei tutti i giorni. Terrore e morti.
Un cronista d'eccezione, don Luigi Rossaro (già, proprio colui che ci ha regalato la Campana dei Caduti perché ci ricordassimo il concetto di morte crudele), tenne un tragico diario di quei giorni: «Diario 43-45, il tempo delle bombe».
Un tempo terribile, che trovò nel 13 settembre del ?44, poco dopo mezzogiorno, il suo momento più atroce. Quando un B25 americano, probabilmente di rientro dopo la missione, si liberò del carico di morte (era vietato rientrare con ancora bombe a bordo) sull'abitato di S.Ilario. Furono 18, come detto, i morti. Stavolta la storia è diversa, ma è sempre una storia dolorosa.