Giustizia lenta: «salvati» gli alberi già tagliati
Che la lentezza della giustizia italiana sia ormai proverbiale lo confermano le continue lamentele di chi ci ha quotidianamente a che fare e della politica in genere. Ad ogni cambio di governo, infatti, il vincitore di turno annuncia in pompa magna riforme su riforme ma poi la lumaca procede. E questo movimento «slow», in verità, è dettato soprattutto dagli organici ridotti all’osso. Ma stavolta non sono i tribunali a finire nel mirino dell’italica propensione al ritardo bensì la giustizia amministrativa. Capace, si badi bene, di accogliere una sospensiva contro il taglio degli alberi a cantiere già ultimato, con le malcapitate piante già diventate fumo in qualche camino e i lavori contestati ormai finiti.
Il caso è quello di viale Trento, con i 47 alberi d’alto fusto sacrificati dal Comune per il riordino urbanistico dello stradone principale del Brione. Per quell’intervento, ritenuto urgente dal sindaco Francesco Valduga e dai suoi assessori, si è mosso praticamente l’esercito. In primavera, come si ricorderà, per consentire all’impresa di abbattere gli ippocastani e parenti vari (leggasi liriodendri e tigli) si è blindato il quartiere con l’inevitabile coda di proteste, accuse, mobilitazione di popolo. Tutto finito? Giammai! Perché l’anno scorso, quando il progetto esecutivo è stato varato da quella che il comitato «Salviamo gli alberi di viale Trento» ha bollato come giunta della motosega, era stato inoltrato un ricorso d’urgenza al capo dello Stato per bloccare l’abbattimento del patrimonio vegetale nella porta Nord dell’urbe.
Gli uffici del presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno poi inoltrato, come da prassi, l’incartamento al consiglio di Stato. Che adesso, finalmente, ha emesso il verdetto: la sospensiva va accolta. E i magistrati romani di palazzo Spada hanno pure giocato il jolly, fissando al 19 dicembre l’udienza per discutere il caso nel merito. Il comitato, dunque, aveva ragione (quantomeno sul blocco delle motoseghe prima della decisione giuridica), peccato però che le piante, come detto, siano già volate nel vento e il restyling di viale Trento completato. Che fare, dunque, in caso di sentenza favorevole ai cittadini? Si smantella tutto e si cerca di ridare forma arboricola alla cenere per ripiantare le 47 vittime della modernità?
I tempi della giustizia, insomma, si sono confermati eterni ma, soprattutto, beffardi. E pensare che il ricorso straordinario al presidente della Repubblica era stato presentato oltre un anno fa ma l’accelerata al cantiere (argomento di contestazione inserito nelle carte bollate dal comitato) ha vanificato tutto.
La richiesta di sospensiva, tanto per fare nomi e cognomi, era stata presentata da Germano Fatturini (promotore del referendum consultivo sulle piante in questione), Irio Bini e Ornella Guerra (del comitato «Salviamo gli alberi di viale Trento), Ruggero Pozzer (consigliere comunale dei Verdi), Marisa Biotti (residente), Daniela Filbier (quale legale rappresentante dell’associazione «Più democrazia in Trentino»), Alex Marini (attuale consigliere provinciale di M5s), Carla Tomasoni e Pino Finocchiaro.
Il consiglio di Stato, come detto incaricato da Mattarella, ha raccolto le memorie del Comune di Rovereto e quelle del ministero della Infrastrutture e dei Trasporti (che chiedevano il rigetto del ricorso e confermavano la necessità di lavorare in maniera celere per non perdere i soldi garantiti dai 5 milioni di euro di sblocco del patto di stabilità da parte della Provincia) ma ha poi stabilito che «ricorrono i presupposti per l’accoglimento della domandata sospensione dell’efficacia degli atti impugnati fino alla pronuncia conclusiva di merito». I giudici amministrativi, insomma, hanno ritenuto quanto meno fondati i dubbi sulla necessità di tagliare gli alberi. Peccato, però, che gli stessi siano già un ricordo svanito nel vento. Il rischio, ovviamente, è che se il 19 dicembre si accogliesse il ricorso gli atti della giunta sarebbero annullati arrivando all’ordine di ripristino. Azione, ovviamente, impossibile.