Da Rovereto ad Hammamet: l'attore Luca Filippi nel film su Bettino Craxi
Hammamet, il nuovo film su Bettino Craxi, è uscito l’altroieri. È già un successo. Sul grande schermo, al fianco di Pierfrancesco Favino nei panni dell’ex leader socialista, Claudia Gerini e altri colossi del cinema italiano, c’è un giovane attore roveretano, Luca Filippi. Occhi cerulei e capelli spettinati, il giovane trentino, classe 1991, è stato scelto da Gianni Amelio per interpretare uno dei ruoli chiave della pellicola che ripercorre gli ultimi mesi di vita dell’ex presidente del Consiglio, quand’era contumace in Tunisia.
Né biografia né film politico, Amelio definisce Hammamet come «la storia di un uomo solo, la sofferenza morale e fisica dopo la presa di coscienza di essere stato abbandonato da tutti». Un film, girato tra Milano e la Tunisia, destinato - tra le tante cose - a consacrare nel grande cinema un nuovo attore partito da Rovereto per inseguire il suo sogno. «Mi sono avvicinato alla recitazione grazie ad uno spettacolo alle superiori: ero John Travolta in Grease», svela Filippi, un diploma di Scuola d’Arte Cinematografica in tasca e tanta caparbietà.
Luca, che ruolo interpreti in Hammamet?
«Vesto i panni di Fausto, il figlio di un vecchio dirigente e amico di Craxi che dopo lo scandalo di Mani Pulite decise di farla finita, suicidandosi. Il film si apre con una mia visita nella villa tunisina di Craxi, un abbraccio e la consegna di una lettera: un escamotage narrativo adottato dal regista per indagare ancora più nel profondo la vita privata di Craxi, i suoi rapporti personali, i dissidi interiori. Il mio è l’unico personaggio romanzato del film»
Come sei entrato a far parte del cast?
«Ho fatto dei provini. Al secondo, Gianni Amelio mi ha scelto. Era convinto al 100%, l’unico dubbio era sulla mia statura: non dovevo essere più alto di Favino. Craxi è il protagonista e doveva emergere su tutti».
Com’è stato il primo incontro con Favino?
«Ci siamo visti la prima volta solo per confrontare la nostra altezza: per fortuna mi superava di qualche centimetro. Prima di Hammamet lo conoscevo solo di fama, ma è proprio come appare in tv o al cinema: una persona squisita, umile, generosa».
Com’è stato lavorare al suo fianco?
«Non ho mai visto Favino sul set, ma solo Craxi. Arrivava già truccato e già completamente immerso nel personaggio: ogni volta era come trovarmi di fronte Craxi in persona. Un lavoro di mimesi e di interpretazione straordinario: mi porto dietro un insegnamento enorme. Attori di questo calibro sono dei giganti: pur pescando dentro di sé, riescono ad uscire da loro stessi, a diventare qualcun altro grazie a un incredibile lavoro di ricerca. Per farcela, mi sono detto che avrei dovuto abbandonare qualsiasi timore reverenziale. Se mi avevano scelto, un motivo ci sarà pur stato: ho quindi cercato di mettermi al loro stesso livello, lasciando da parte me stesso e concentrandomi al massimo».
La figura di Craxi dice poco alle giovani generazioni. Eppure incarna una pagina di storia politica importante del nostro Paese.
«Sì, è una figura che è stata completamente accantonata: quando spiegavo ai miei coetanei che avrei recitato in un film su Craxi rimanevano impassibili. A molti di loro non diceva nulla».
Avete girato per mesi in Tunisia. Com’è stato ripercorrere i luoghi dove Craxi trascorse gli ultimi frangenti della sua vita?
«Emozionante. Siamo entrati nella sua casa in punta di piedi, con rispetto, visto che si tratta di una persona realmente esistita, con una famiglia e un vissuto politico di un certo peso: ad Hammamet si respira ancora una certa sacralità, è ancora molto amato».
Com’è stato rivedersi sul grande schermo?
«Uno choc. Amelio non organizza mai prime, quindi sono andato a vedere il film in un piccolo cinema di Roma. Prima da solo, scegliendo un posticino in fondo alla sala: avevo un’ansia incredibile. Poi, verso sera, con degli amici, in maniera decisamente più obiettiva e rilassata».
Insomma, un film - ieri secondo solo a Tolo Tolo di Checco Zalone al Box Office - da vedere?
«Sì, è un film toccante sotto molti aspetti. Non è politico, ma introspettivo: il racconto di un re caduto. La sola interpretazione di Favino, che è straordinaria, vale il prezzo il biglietto».